Cultura e Spettacoli

GATTO Una zampata sulla realtà

Trent’anni fa moriva uno dei grandi poeti del nostro Novecento. A lungo dimenticato

Forse è insolito pensare a un poeta appassionato di sport. Chissà perché, ma la figura di uno scrittore di versi è nel nostro immaginario sempre un po’ relegata nell’ambito dei sognatori. Anche la stessa letteratura, oltre alla fantasia popolare, ne offre spesso un’immagine «assorta», come avulsa dalla realtà che lo circonda. Ad esempio il «poeta» che nei Promessi sposi Renzo incontra nell’uscire da Milano mentre imperversa la rivolta del pane parla tra sé, trasognato e distratto. Baudelaire lo identifica invece con uno splendido albatro che diventa però goffo e ridicolo una volta posato sulla tolda di una nave. Eppure spesso il poeta è stato interprete concreto della propria epoca, dando voce ai pensieri e agli ideali dei suoi contemporanei. E in particolare questo è accaduto alla poesia più recente, quella degli ultimi decenni, quando, abbandonati vati e sognatori, i poeti sono stati partecipi della vita sociale, civile e politica dei propri tempi.
Ne è un esempio Alfonso Gatto che, esattamente trent’anni fa, l’8 marzo 1976, scompariva improvvisamente in un incidente stradale nei pressi di Orbetello. Per molti anni Gatto è stato considerato uno delle più grandi voci liriche del Novecento, ma poi - chissà perché - il tempo ha steso una patina di dimenticanza sul suo nome. Solo di recente la pubblicazione della raccolta di Tutte le poesie a cura di Silvio Ramat (Mondadori, 2005) ne ha finalmente presentato in modo organico l’intera produzione in versi. Gatto è un autore che ha attraversato tutta la storia del secolo appena concluso: ha iniziato a scrivere negli anni Trenta, abbracciando temi e stilemi ermetici, ma da subito la sua attività di poeta si è intrecciata in modo inscindibile con quella di prosatore e giornalista. Inizialmente di critica letteraria e di prosa d’arte, ma con l’andare del tempo si è poi occupato di ogni ambito che risvegliasse la sua curiosità. Sempre attenta e vigile, come quella di un vero gatto.
Dopo i giorni della Liberazione, che lo videro protagonista e, insieme a Quasimodo, forse il maggiore interprete della Resistenza italiana (una sua poesia Per i martiri di Piazzale Loreto circolò su riviste e fogli clandestini), Gatto ha ampliato la sua attività di scrittore. La sua produzione poetica si è distesa in raccolte luminose, «pittoriche», e la prosa si è realizzata in tutte le accezioni possibili. Collaboratore di innumerevoli testate (molti suoi articoli sono oggi raccolti in volume), gli interessi di Gatto spaziavano dall’arte (pittore lui stesso: si ricorda l’originale idea della raccolta di versi Rime di viaggio per la terra dipinta, realizzata da Mondatori, in cui il legame tra immagine e parola scritta si infittisce con reciproci rimandi), alla politica; dalle tematiche di attualità, al cinema, e anche alla tv, affascinato, come molti intellettuali, dalle potenzialità del nuovo mezzo espressivo.
Anche nello scrivere, però, Gatto non ha mai smesso di essere poeta. Nelle immagini, nelle suggestioni che sapeva creare, nei commenti ai fatti di cronaca o agli eventi di costume, è sempre la poesia a occhieggiare tra le righe, in un’immagine, in una parola, in un suono. La sua curiosità per la gente e per la loro vita ha raggiunto la migliore realizzazione nella rubrica «Italia domanda» sul settimanale Epoca. Ideata da Cesare Zavattini per un mai realizzato giornale (Il disonesto), questa pagina di posta con gli italiani è stata occasione per Gatto di analizzare, sorridere, meditare sui valori, le paure, le aspirazioni di un’Italietta che in quell’esordio degli anni Cinquanta stava prendendo il volo.
E poi c’è lo sport. I reportage, famosissimi, dal Giro d’Italia - nel 1947 e 1948 - per l’Unità (alcuni articoli uscirono anche sul settimanale Vie Nuove), e ancora, dieci anni più tardi, nel 1959, per Il giornale del mattino e per La gazzetta del popolo, dopo un’esperienza di Tour de France, nel 1958, sempre per le medesime testate. Ma il poeta non era appassionato solo di ciclismo, lo sport più popolare in quegli anni (anche se - per sua stessa ammissione - non sapeva neppure andare in bicicletta...), ma anche di calcio, la cui popolarità stava crescendo e che faceva fremere il poeta, come tutti gli italiani, la domenica allo stadio o incollato alla radio. Come lo fece fremere di un sincero dolore attonito alla notizia della tragica fine del Grande Torino.
Proprio per parlare di sport, Gatto fu anche tra i collaboratori di questo stesso Giornale quando, tra il 1974 e il 1976, tenne una rubrica settimanale per commentare i principali eventi: il campionato di calcio, soprattutto. Ma nei periodi in cui il calcio riposava, ecco l’antico amore per il ciclismo fare capolino nella sua scrittura. Scartabellando tra questi articoli si è trovato un ricordo, scritto in occasione del Tour de France del 1975, pieno di calore e di colore, dei “suoi” anni da suiveur. Erano passati vent’anni dal “suo” Tour, trenta dal primo Giro. Lo rileggiamo oggi, dopo altri trent’anni. E stupisce ancora per la sua attualità e la sua bellezza.
Il 4 marzo 1976, l'articolo «De Amicis scrive a Benetti» (Romeo Benetti, che quell’anno giocava nel Milan), è stato l’ultimo di Gatto pubblicato in vita.

L’addio al pubblico l’ha dato dalle pagine de il Giornale.

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