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"Il gelato più buono si fa con il letame d'autore"

"Alberi sani producono ottimi frutti". E racconta come 15 anni fa ha lasciato la carriera di manager per fare il contadino-imprenditore

"Il gelato più buono si fa con il letame d'autore"

Le farei subito una domanda, di quelle che dividono il mondo: cono o coppetta?

«Il cuore, sono sincero, mi porterebbe a scegliere il cono, ma il disordine, che mi accompagna, mi fa dire coppetta, perché, se è vero che alla fine il cono me lo godo tutto, finisco comunque e sempre, inesorabilmente con la camicia macchiata. Quindi coppetta. Per forza».

E siamo alla sua prima, determinante, scelta. Che per un gelataio come lei si definisce...

«Scusi se la interrompo, ma io non mi definisco un gelataio per giocare al basso profilo, io sono e rimango un gelataio, orgoglioso di esserlo, felice di avere avuto un'idea buona, assieme al mio socio, 14 anni fa e di riuscire a portare in giro per il mondo un gelato come lo si faceva una volta. Frutta sceltissima, ingredienti maniacalmente selezionati, niente addensanti, niente coloranti o altri artifizi che forse soddisfano molto lo sguardo ma ben poco lo stomaco».

Ma lei non è il gelataio dell'angolo, lei è Grom, e il suo cognome è un'insegna anche a Tokyo...

«E allora diciamo che sono un gelataio che sta in tanti angoli del mondo. Qui, a Milano come a Manhattan, come a Giacarta, Dubai o Torino. Da dove siamo partiti io e Guido, Guido Martinetti, il mio socio, nel 2003, con il nostro primo negozio, con quell'idea in testa: fare un gelato semplice e genuino. Risultato: 800 persone che lavorano per Grom, oggi, e una novantina di negozi, di cui 75 in Italia, dove il nostro gelato arriva uguale, dato che nel nostro laboratorio di produzione di Torino prepariamo le miscele liquide, che vengono distribuite, grazie ad un'attenta gestione della catena del freddo, alle singole gelaterie, dove vengono mantecate fresche e servite. Il processo comincia nella nostra tenuta agricola di Mura Mura, a Costigliole d'Asti. Lì cogliamo la pesca o l'albicocca giusta, ma scegliamo anche dai produttori italiani più scrupolosi i limoni, i mandarini eccetera più adatti per i nostri sorbetti».

Mi racconti in una manciata di righe la storia di Federico Grom, 44 anni appena compiuti...

«Fino a 15 anni fa ero un tranquillo, ben pagato e soddisfatto manager di un'azienda che progettava auto a Torino. Abitavo nel quartiere popolare delle Vallette. Poi l'idea, che sulle prime mi parve francamente un po' bizzarra, di Guido, il mio amico di sempre che viene dal mondo dell'enologia, e che si sente più contadino che imprenditore, di metterci a fare gelato. Semplice e genuino. Ne parlo con mio padre, scomparso purtroppo recentemente, e lui non mi dà un soldo, ma mi incoraggia. In buona sostanza diventa il promotore del mio sogno e ben se ne guarda dal farmi notare che ho un lavoro sicuro, a tempo indeterminato e ben pagato. Comunque vada sarà un esperienza, una bella esperienza, è il suo viatico. Parto con il capitale che ho in banca: 32.500 euro, tutti i miei risparmi. Anzi, non tutti. Trecento euro me li tengo per un week-end con la fidanzata nel caso tutto andasse a rotoli. Così nel maggio 2003 apriamo il nostro primo negozio a Torino. Non abbiamo nemmeno i soldi per mettere un'insegna. Io e Guido ci mettiamo a mantecare e a spalettare il gelato. Nel retro mia madre e mio padre a pelare la frutta. I torinesi, che di gelato se ne intendono, si mettono in fila. È il successo».

Lei ripete spesso che siete ossessionati dai dettagli. Vengo a scoprire che lo siete anche per il letame. Come se un buon letame, maturato al punto giusto, faccia fare buoni gelati...

«Capisco che la cosa la faccia sorridere e anch'io, da cittadino e non da contadino, sobbalzai quando all'inizio della nostra avventura vidi che Guido aveva acquistato letame per 7.500 euro! Come si fa a spendere questa cifra per del letame, gli contestai. Lui, impassibile, ribatté: fidati, è letame d'autore, letame buono, che arriva da fior di vacche. Biologico, maturato al punto giusto. Farà crescere alberi sani che ci daranno frutti ottimi. E così fu e così continua ad essere nella nostra tenuta di Mura Mura. Dove, grazie anche a quel letame, facciamo crescere i nostri alberi e cogliamo la nostra frutta con cui facciamo ancora oggi i nostri gelati. Vede che il passo dal letame buono al gelato buono non è poi così azzardato? È una decisione che profuma di buono, mi creda».

Un'emozione che le lascia un ricordo indelebile, come un gelato dal gusto pieno?

«L'apertura del nostro negozio a Manhattan, nel 2007. Siamo partiti una settimana prima dell'inaugurazione per pulire, arredare, testare le macchine, controllare ogni dettaglio di quel primo negozio di 60 metri quadrati negli States. Ci sembrava d'essere due adolescenti alla loro prima avventura. Nella stessa stanza d'albergo Guido ed io guardavamo ammirati il Chrysler Building ansiosi ed emozionati di immaginare ciò che sarebbe accaduto il giorno dell'apertura. Erano usciti articoli sul New York Times. Giornali e tv avevano annunciato il nostro curioso sbarco. Così, quando vedemmo tutta quella gente in coda per ore prima di arrivare al banco, fu davvero una sensazione unica. E pensare che qualche giorno prima, con la sfrontatezza dell'incoscienza, avevo rischiato grosso. Ero andato al nostro magazzino nel Queens per caricare su un truck, coni e coppette e quant'altro ci sarebbe servito. Solo che quel truck, con la patente italiana, non avrei potuto guidarlo negli States. Succede che, sul ponte all'ingresso di New York, la polizia mi ferma, controlla la mia patente e sta per multarmi. Uno degli agenti mi chiede che cosa trasporto. Gli rispondo che sono coni per gelato perché stiamo per aprire una gelateria diversa da tutte le altre. Unica. Sono i più buoni coni per gelato italiani, incalzo, su, assaggiateli e venite a trovarci in gelateria. Assaggiano e mi lasciano andare».

E a Tokyo? Successo ed emozioni in fotocopia?

«A Tokyo mi è rimasta più impressa l'apertura del nostro secondo negozio. In quell'occasione prendemmo una camera al quarantesimo piano di un hotel fatto a torre. Dalle finestre della stanza potevamo vedere il nostro negozio: ci pensi, ripetevamo l'un l'altro, di qui passano tre milioni e mezzo di persone al giorno. E in questo bailamme nevralgico si affaccia il nostro negozio! Ma il Giappone, per me, per noi, significa soprattutto melone. Un melone buono e bello».

Temo che qualcosa mi sfugga, ossessionato anche dal melone signor Grom?

«In questo caso direi di sì perché il Giappone per me rappresenta l'apice. L'incontro di qualità organolettica e di qualità estetica. In Giappone fanno la frutta bella e buona. Certo una pesca costa 7 euro e un melone costa 150 euro, ma li valgono. Siamo volati a Hokkaido per incontrare il più famoso contadino produttore di meloni del Giappone. Un settantenne che coltiva i meloni come fossero figli. Li coccola, seleziona i fiori da 12 a quattro per irradiare nel frutto la maggior energia possibile, li coltiva sollevati da terra in una sorta di culla biodegradabile che rende il melone perfetto anche esteticamente. Quando siamo tornati in Italia, abbiamo ordinato due pallett di quelle culle e noi coltiviamo i nostri meloni secondo il metodo giapponese. La coltivazione dei meloni ci ha anche spinto ad azzardare di più. A farci costruire una macchina pela meloni. Una sorta di unghia che sbuccia il melone riducendo al minimo gli scarti. Prima li sbucciavamo a mano come si fa in famiglia. Ma sbucciandolo a mano in qualche modo il melone si contamina, si ossida più velocemente e si butta via più frutto».

Tutto chiaro, ma una macchina simile o tante macchine simili fanno industrializzazione...

«Noi non ci siamo mai definiti artigiani del gelato. Il nostro slogan è Il gelato come una volta. L'industrializzazione svilisce il prodotto quando fa scelte a discapito della qualità. Resto all'esempio del melone: siccome posso pelarlo più in fretta, allora mi faccio tentare dallo scegliere frutti di scarsa qualità. No, questo non siamo noi. E questa non sarebbe industrializzazione per innovazione. Sarebbe una scelta dettata dall'avidità. Una scelta che noi di Grom non faremo mai».

Niente compromessi anche da quando, nel 2015, Grom è stata ceduta a Unilever?

«Unilever ha comprato un piccolissimo gioiello, la cosa più sbagliata che potrebbe fare è distruggerlo. Siamo rimasti autonomi, anche se io devo rispondere agli azionisti. Continuo a fare esattamente ciò che facevo prima, la mia vita non è cambiata. Non ho una giornata tipo, arrivo tra le 8.30 e le 9 in ufficio e ci sto fino a sera. Controllo tutta la filiera. Quando ho appuntamenti parto prestissimo, alle 5, alle 6 di mattina perché devo andare a vedere di persona. Anche se prima viaggiavo molto di più, mettevo insieme centinaia di voli internazionali. Perché se vuoi aprire un negozio a Los Angeles devi andarci un sacco di volte, devi vedere 50 locations prima di trovare quella che ti convince. E le garantisco che in Unilever sono ossessionati come noi, perché tengono come noi a preservare il nostro percorso e a continuare sul nostro sentiero».

La sfida più stimolante che adesso l'attende?

«La sfida che mi spaventa di più non è quella di aprire altri mille negozi, ma quella di riuscire a far crescere e ad educare mio figlio come mio padre ha fatto con me. Lui mi ha tirato su dritto, pragmatico. È stato sempre presente. Sono abituato a proiettare scenari per il mio lavoro, ma trovo difficile fare la stessa cosa per mio figlio. È un carico di responsabilità che sento dovrò affrontare con coraggio e determinazione. Mio padre ha fatto sacrifici per me che non so se saprò fare».

Grom, in slavo, significa tuono, Mura Mura in malgascio piano piano. Gioca con i significati?

«La traduzione del mio cognome è solo una casualità, Mura Mura è una scelta ben precisa perché è la nostra filosofia. Aspettare che la frutta maturi secondo il naturale ritmo delle stagioni. Il melone, scusi se insisto, lo piantiamo a maggio perché sia pronto in estate. Perché affrettare e rovinare?».

Altre ossessioni commerciali che avete in programma a breve?

«Proporre, già da quest'estate, la qualità dei gelati Grom confezionata in vaschette e secchielli che saranno in vendita nei negozi alimentari e in alcuni supermercati di nicchia delle principali città italiane. Gli altri progetti hanno come epicentro Mura Mura. Grazie all'esperienza di enologo di Guido usciremo già con la prossima vendemmia con alcuni vini, Barbera, Nebiolo e anche un moscato passito. E Mura Mura dall'anno prossimo accoglierà i triatleti in cerca di sport, ovviamente, ma anche di vacanza e relax. Apriremo infatti un boutique hotel che si affaccerà sulla tenuta agricola e sui vigneti. Ci saranno una bella piscina, una pista per correre tra i filari e una schiera di biciclette. Naturalmente dopo questa intensa attività i triatleti potranno gustare le specialità della zona, bere del buon vino e concludere il pasto con i nostri gelati».

La sua vita fuori le mura. Anzi, fuori da Mura Mura e dal gelato?

«Lo sport e la mia famiglia. Sono un iperattivo e faccio ogni sport mi consenta di stare all'aria aperta. Mi godo mio figlio Romeo di un anno che, peraltro, testa volentieri tutti i nostri sorbetti, e mia moglie Chiara. Faccio grandi corse con il mio jack russell e continuo a vedere gli amici di sempre. Una vita molto semplice».

Errori, rimpianti, delusioni?

«Sembrerà retorica, ma la verità è che errori ce ne sono stati tantissimi. E io e il mio socio li abbiamo fatti scientemente. Insomma, ci sono riusciti bene. Così io ripeto ai miei collaboratori: fate le cose con impegno. Se sbagliate, sarete premiati. Se galleggerete nella mediocrità, vi caccerò».

Quando entra in un negozio Grom la riconoscono o c'è appesa la sua foto accanto ai gusti?

«La mia foto è sul manuale, il libro di testo si cui si studia prima di venire assunti. Di solito quindi mi riconoscono.

E se non mi riconoscono, garantisco che ci metto due secondi a farmi riconoscere».

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