Cultura e Spettacoli

La geniale mano (nascosta) di Benedetto da Rovezzano

Lo scultore toscano ha realizzato opere straordinarie, a volte attribuite ad altri. E intanto ci siamo giocati un «San Giovanni» volato a Minneapolis

La geniale mano (nascosta) di Benedetto da Rovezzano

Gli studi, sempre più sofisticati, di storia dell'arte, allargano il perimetro di aree culturali anche molto frequentate, come quella fiorentina, che si pensavano compiutamente indagate. È il caso di alcune sculture di consumata perizia formate, genericamente riferite alla scuola di Donatello, e poi raccolte, a partire dagli studi di Wilhelm von Bode (1845 - 1929), fino ai riscontri di John Wyndham Pope-Hennessy (1913 - 1994), sotto il nome di «Maestro dei san Giovannino in terracotta», con una corretta identificazione filologica.

Le evidenti affinità con l'ambito di Jacopo Sansovino sono state risolte in favore di uno scultore noto alle fonti ma disperso nelle opere: Benedetto da Rovezzano. A lui, estremamente raffinato, va riferita la scultura più elegante della serie, il San Giovannino dell'antiquario Stefano Bardini, apparso nel 1902 nella vendita Rospigliosi a Christie's di Londra, e proveniente dalla villa di Spicchio di Lamporecchio. Formatosi nell'ambiente fiorentino nella bottega di Giuliano da Sangallo, nei primi lavori per la Cantoria nell'abbazia di Santo Stefano a Genova (1498-99), e in alcune figure in marmo eseguite per la tomba del Duca d'Orleans (1502, Parigi, San Denis), Benedetto da Rovezzano (Canapale 1474 - Vallombrosa 1554 circa) rivela una ampia e colta varietà linguistica, tra rimeditazione di modelli della antichità ed esempi moderni della scultura di Andrea del Verrocchio e dei Pollaiolo.

Tornato a Firenze nel 1505, Benedetto riparte con determinazione nel sepolcro in marmo di San Giovanni Gualberto per Santa Trinita, e con la collaborazione con Michelangelo per la rifinitura di un David in bronzo, fino a concepire la statua in marmo del San Giovanni Evangelista in Santa Maria del Fiore, nel 1513. Sarà in Inghilterra dal 1519, per circa venti anni, lavorando a notevoli imprese come la tomba per il Cardinale Wolsey. Rientrato a Firenze nel 1542, si impegnerà nell' Altare Sernigi nella chiesa di Santa Trinita, con i gravi problemi alla vista che lo porteranno alla cecità. Evidenti e molteplici sono i riscontri, nella sua produzione accertata, con la terracotta del San Giovannino Rospigliosi . Nell'angelo con il cero del monumento a san Giovanni Gualberto la levigata superficie marmorea rimanda alla nitida modellazione del corpo del San Giovannino ; la folta capigliatura riccioluta di entrambe le figure, la inclinazione del volto e lo sguardo perduto sono motivi che appartengono alle idee e alla mano di uno stesso artista.

Altre affinità sono con la Sibilla , il Profeta e la Musica , conservate nel Cenacolo di San Salvi (1505-13); con i Geni nei pennacchi dell' Altare Sernigi (in Santa Trinita: opere di uno scultore fiorentino che la critica ha da tempo individuato nel Rovezzano). Infine, evidenti sono le coincidenze formali, già rilevate dal Bode, con il San Giovanni Battista del museo di Berlino e con il busto di San Giovannino , ora al museo di Minneapolis, riconosciuto da uno studioso italiano, con atarattica indifferenza sulla sua destinazione, nonostante l'alta considerazione per lo scultore.

C'è qualcosa di sorprendente in questi piccoli studiosi, avidi e supponenti, che fingono di preoccuparsi della integrità del contesto territoriale, fanno appelli ai ministri per ostacolare lo «sradicamento» temporaneo di opere, per mostre spesso utili e istruttive, e prestano studio e conoscenza ad antiquari e a musei stranieri che vendono e che acquistano capolavori italiani, di sempre incerta provenienza, definitivamente sradicati dal contesto di originaria appartenenza, spesso con la loro complicità. È il caso, fra gli altri, di Francesco Caglioti, molto attivo presso mercanti, soprattutto nelle perizie di sculture rinascimentali. Costui, nonostante abbia identificato l'autore del San Giovannino in Benedetto da Rovezzano, operoso a Firenze negli stessi anni di Leonardo, Michelangelo e Raffaello, non lo ha ritenuto abbastanza importante da meritare di essere segnalato e accolto in un museo italiano. Ha invece atteso fino al 2013 per compiacersi della vendita dell'opera, presentata da Alain Truong nella grande fiera dell'antiquariato di Maastricht, al Minneapolis Institute of Art. Caglioti è uno degli strenui sostenitori del «contesto» (in questo caso fiorentino), in cui le opere dovrebbero trovare la loro naturale collocazione, come sarebbe al Bargello. E, proprio nel 2013, lo Stato italiano, attraverso il ministero per i Beni culturali, ha messo a disposizione non irrilevanti fondi per l'acquisto di opere d'arte, come documenta la mostra in corso a Castel Sant'Angelo «Lo Stato dell'Arte: l'Arte dello Stato».

Il professor Caglioti non ha battuto ciglio, come se non insegnasse in una università italiana, e ha anzi espresso, con servile ossequio, le sue congratulazioni al Museo di Minneapolis, nel cui contesto la scultura deve apparirgli particolarmente pertinente, benché un po' spaesata, se scrive che «l'acquisto del San Giovannino porta al museo un esempio molto significativo di uno dei grandi maestri del Rinascimento fiorentino negli Stati Uniti».

La considerazione è condivisa dal nuovo direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, il quale per il futuro dovrà mettersi il cuore in pace, aspirando a essere più patriottico dei suoi colleghi italiani. Intanto, sradicato per sempre dal suo contesto, il San Giovannino fiorentino riposa in pace, con la benedizione del Caglioti, in un museo americano.

Libri

Guida al Museo Horne a cura di Elisabetta Nardinocchi (Edizioni Polistampa, Firenze 2011). Il palazzo che ospita il Museo Horne, in via de' Benci 6 a Firenze, e che custodisce numerosi pezzi d'antiquariato, sculture e una notevole collezione di dipinti su tavola del Tre e Quattrocento, è riconducibile, a livello di progettazione, secondo alcuni all'attività di Giuliano da Sangallo, secondo altri a Simone del Pollaiolo detto il Cronaca (presumibilmente coadiuvato da Baccio d'Agnolo), mentre per la ricca decorazione scultorea sono stati fatti i nomi di Andrea Sansovino e di Benedetto da Rovezzano.

La policromia della scultura lapidea in Toscana tra XII e XV secolo di Paola A. Andreuccetti (Polistampa, Firenze 2008).

Gli anni delle meraviglie. Da Piero della Francesca a Pontormo.

Il tesoro d'Italia di Vittorio Sgarbi (Bompiani 2014).

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