Cronache

Genoa, successo figlio del sacrificio

(...) in cui va detto, anche il Napoli ha fatto un figurone. La «trance» agonistica alla fine ha coinvolto tutti quelli che hanno un po’ di sangue nelle vene. Un successo quello rossoblù meritato perché figlio del sacrificio, dell’umiltà e di tante facce grintose meno pubblicizzate di quella del solito Milito, comunque unico, o di Palladino, di sicuro ritrovato.
Prendete per esempio Sculli, sempre in croce anche quando ha fatto gol, domenica invece lo stadio si è alzato in piedi per lui, come neanche per Borriello è stato fatto l’anno scorso. Senza parlare del portiere: Rubinho non piace perché esteticamente brutto, ma para come in pochi fanno in serie A, ma tant’è meglio che niente si dice che rinvia male di piede. Eppure quella parata su Denis mi ricorda una altrettanto storica di Martina in coppa Italia su tiro di Antognoni deviato da Onofri, ma Silvano ci arrivò e da lì da numero uno da brivido passò a superman.
Tre vittorie con le big e la patente scontata di «ammazzagrandi» e così i notai della sfiga, quelli del «non illudiamoci perché il Milan è scarso», oppure quelli del «con la Roma ha girato tutto bene, basta poco per finire in zona retrocessione» sono serviti. Il problema non esiste perché c’è un signore, tale Gasperini, che a chi fa il divo lì dentro, abbassa le orecchie. Il Genoa neppure con nove punti in sei gare si sente arrivato da qualche parte. Nessuno si monta la testa, perché non può farlo. Il successo sul Napoli non rappresenta né svolte e nemmeno chissà cosa d’altro. È semplicemente il segno che questa squadra ha un gioco e con Milito una sua anima ben precisa. Non è un club azienda e nemmeno creatura artificiosa e svuotata di emozioni. È semplicemente un gruppo solido alla faccia di Zamparini, e non solo, che aveva profetizzato che lo spogliatoio del Grifo si sarebbe spaccato con l’arrivo del «Principe».
Il Genoa sta ripagando la fiducia dei suoi 23.000 abbonati che per ora in casa s sono divertiti e hanno visto giocare al football per dirla alla Brera. Otto reti segnate a Marassi, di cui sette siglate su azioni manovrate e bellissime. Otto, su nove, se comprendiamo anche l’unica siglata in trasferta dove c’è però bisogno dello psicanalista per capire cosa non funziona come succede al caro vecchio Ferraris. E non dimentichiamoci i giovani perché Preziosi sul greco, su Bocchetti, su Palladino e altri ha investito. Sokratis se valeva quattro ora ha raddoppiato, Bocchetti pure e il discorso su Milito è a parte. In un torneo così strano è quasi impossibile stabilire dove può arrivare il Genoa. Di sicuro dovrebbe salvarsi con tranquillità, di sicuro piace il suo modo di stare in campo e scusate, pure il comportamento fuori dei suoi tesserati senza piagnistei, vedi Firenze. Personalmente allo stile o alle isole felici nel calcio non ho mai creduto. Per me fanno parte della facile propaganda perché quando si vince va bene ovunque, quando si perde allora si diventa brutti e cattivi e anche qui vale per tutti.

Ma di certo c’è una cosa: questo Genoa merita profondo rispetto e quel pizzico di ottimismo che ora sarebbe giusto attendersi.

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