Cronache

Il blitz coordinato dalla base della Marina

(...) per oltre una settimana sino ad avere la certezza su dove fosse l'ostaggio e sono intervenuti quando hanno capito che potevano liberare Andrea in sicurezza. Troppo rischioso proseguire nel «gioco» necessario per catturare tutta la banda: serviva prima di tutto ridare libertà al giovane imprenditore, il tempo di scovare i complici verrà ora. Del resto, vista l'incapacità di gestire lo stress di un'impresa criminale più grande di loro, c'era il pericolo che qualcuno potesse trasformarsi in aguzzino e compiere qualche azione violenta conto Andrea, magari sentendosi troppo sicuro sino ad arrivare a inviare una «prova biologica» dell'esistenza in vita del sequestrato. Di questa idea di spedire alla famiglia un «pezzo» del giovane hanno anche parlato al telefono, convinti di essere imprendibili. Ma ad ascoltarli c'erano gli investigatori di carabinieri e polizia che hanno deciso che ormai fosse l'ora di agire. Per ora in carcere sono finiti in quattro, ma se ne cercano altri tre e poi ci sono da vagliare le ipotetiche complicità di altre quindici persone. L'indagine è ancora lunga.
Il blitz, l'epilogo, la mattina del 31 dicembre. Decine di agenti di polizia e di carabinieri hanno circondato le case dei primi tre fermati, compresa quella villetta alla periferia di Sarzana in cui sapevano essere rimasto solo il rapito. Le forze dell'ordine hanno fatto irruzione nella casa prigione in cui era tenuto segregato Andrea Calevo trovandolo in uno scantinato, o meglio un interrato senza finestre, legato con delle catene. Quando ha capito di essere libero, il ragazzo si è lasciato andare all'emozione, quindici giorni chiuso in quel buco lo avevano provato, ma non distrutto. Poi applausi e grida di gioia, un «momento bellissimo che vale una vita di questo lavoro», ha raccontato uno dei presenti al blitz.
La decisione di intervenire è arrivata nella notte del 30 dicembre. Base operativa, una caserma della Marina Militare nella zona di Sarzana. Da qui a metà mattinata sono partite le quattro colonne di auto di polizia e carabinieri dirette ai vari «obiettivi». Centro dell'operazione, la villetta del capo della banda, tenuta sotto controllo da giorni. Sapevano che Andrea era nascosto lì e che era solo. Fatta saltare la serratura del cancello, una ventina di uomini di reparti speciali e investigatori, armi in pugno, ha fatto irruzione nella prigione del giovane. Una caccia serrata al luogo preciso, poi dalla scala interna alla cucina, quella che porta ad una cantina, ecco arrivare un grido: «È qui, è qui».
Sono scesi in due, dopo pochi minuti sono risaliti in tre. Abbracci, pacche sulle spalle, grida. Andrea era laggiù, dentro un loculo di cemento senza finestre, costruito proprio per lui all'interno di un normale sgabuzzino alla spalle della tavernetta. Lo hanno trovato seduto a terra, al buio, in catene. Incredulo, gli hanno stretto le mani, lo hanno confortato: «È finito tutto, sei libero». Avuta la conferma che Andrea era libero è scattata la seconda fase del blitz, quella definita, chirurgica. Senza creare troppo allarmismo, hanno prima intercettato a Sarzana il presunto capo della banda, i settantenne Pierluigi Destri, che fungeva anche da principale carceriere. Poi hanno fermato, in casa, il nipote ventenne Davide Bandoni e l'albanese Fabijan Vila. Ieri altra cattura, quella del 23enne Simon Alilai, anche lui trovato in casa, come se nulla fosse. Ma la caccia al resto della banda prosegue, mentre i più giovani hanno già ceduto e stanno raccontando tutto.
Ora è possibile riavvolgere il nastro e ricominciare a raccontare i dettagli di due settimane di angoscia e di indagini degne di 007.
Il primo giorno dopo il rapimento, il 17 dicembre, uno dei sequestratori ha chiamato la madre di Calevo per annunciare la richiesta di un riscatto, lo ha fatto da una cabina telefonica di Pisa, credendo di restare anonimo. In pochi giorni, tra il confronto delle utenze cellulari attive in quel momento nella zona è saltata fuori una rosa di sospetti, resa ancora più stretta confrontando le tracce del viaggio in autostrada da Sarzana a Pisa per fare la chiamata e delle riprese di una telecamera di sorveglianza che ha registrato uno strano furgone la notte del rapimento. Poi il primo trucco, quello di negare ad ogni costo l'ipotesi del sequestro in modo da obbligare i malviventi ad una seconda mossa. Intanto scattavano centinaia di intercettazioni telefoniche, ben sei milioni di dati telefonici elaborati, con la rosa dei sospetti così ridotta ad un numero limitato. Il 19 dicembre i sequestratori hanno fatto scrivere una lettera ad Andrea per chiedere otto milioni di riscatto, la missiva è arrivata il 21 dicembre alla madre di Andrea Calevo. Ma ancora una volta è stato fatto credere che il contatto non c'è stato, così i malviventi si sono agitati, hanno parlato per telefono consultandosi se inviare o meno «prove fisiche», erano nervosi perché non li prendevano sul serio, ma ormai li stavano ascoltando, seguendo e filmando. C'erano le prove, erano proprio loro.

Da qui a capire dove tengono Andrea è stata solo una questione di giorni, poi il blitz.

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