Cronache

Calevo: «Cantavo Buscaglione e facevo flessioni»

Calevo: «Cantavo Buscaglione e facevo flessioni»

(...) «della quale si è sentita la voce». È stato lo stesso imprenditore rapito e liberato con un blitz il 31 dicembre scorso a riferirlo agli inquirenti. Secondo il capo della procura distrettuale, Michele Di Lecce, «questa donna potrebbe far parte del gruppo di persone sulle quali ancora stiamo indagando». La prigione era a pochi chilometri da casa, ma per lui era come essere dall'altra parte del mondo. Una condizione estrema, con la costante paura di subire violenze e di essere ucciso. «Cantavo per combattere la solitudine - racconta Andrea, che ieri è stato ospite a Uno mattina e dietro le quinte della trasmissione ha incontrato il premier Monti, anche lui in studio - Dopo cinque giorni mi sono detto che dovevo fare qualcosa sennò impazzivo. Così intonavo canzoni di Fred Buscaglione, ma anche di Franco Battiato o Raffaella Carrà. Al mattino facevo le flessioni e poi provavo a muovermi, a camminare». Piccoli espedienti per non perdere il contatto con la realtà e con la speranza. «Ho capito quasi subito che chi mi aveva rapito non era un vero professionista. Hanno cercato spesso di farmi paura, sono anche arrivati a dirmi che mi avrebbero sparato in faccia, o a una gamba. Parlavano poi cercando di imitare una cadenza meridionale, e mi parlavano molto. Un professionista del crimine non credo si comporti così. Quando entrava avevano sempre il volto coperto, erano armati, e prima che entrassero sentivo lo scatto dell'arma. Venivano spesso solo i primi giorni poi via via sempre meno, una volta al giorno, sono stati anche un giorno e mezzo senza venire. Avevo capito che non ero distante da casa perché facemmo solo una decina di minuti di strada. Per questo pensai si trattasse di un sequestro lampo. Quella sera dopo avermi prelevato al cancello mi portarono in casa, legarono mia madre, poi mi dissero di andare con lo e che poi mi avrebbero liberato. Pensai che lo avrebbero fatto. Li ho seguiti tranquillamente, non avrei potuto fare resistenza. Erano armati ed erano più di tre. Invece mi ritrovai chiuso in una stanza. Dopo è entrato un uomo che parlava con un finto accento meridionale, mi ha detto che mi avevano rapito, che volevano il riscatto e che bisognava aspettare che mia madre pagasse». E proseguono le indagini e la caccia ad altri due albanesi che sarebbero già rientrati in patria.

Sono in corso controlli ed interrogatori per una ventina di persone che nelle due settimane del sequestro hanno avuto contatti con la banda, alcune di loro sono donne e non avrebbero avuto ruoli marginali.

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