Cronache

Così Lizzani fu pagato con la colletta in fabbrica

Procedendo con la disamina a sfondo neo-realista dei film girati a Genova e nei dintorni, dopo «Le mura di Malapaga», parleremo di un lungometraggio che può essere considerato un consolidamento importante nella caratterizzazione del genere per i contenuti, ma specialmente per le modalità di produzione. Si tratta di «Achtung! Banditi!», diretto da Carlo Lizzani al suo primo incarico da regista (precedentemente lavorò a diverse sceneggiature, collaborando anche con Rossellini per la scrittura di «Germania anno zero»). La peculiarità della progettazione dell'opera fu l'origine dell'idea e dei finanziamenti per realizzarla; difatti venne creata per l'occasione la Cooperativa Spettatori Produttori Cinematografici, un esperimento unico nella storia del cinema non solo italiano. La Cspc fu economicamente fondata su azioni da 500 lire l'una acquistate per la maggior parte da operai, con l'intento di dare sostento alle produzioni più coraggiose incapaci di trovar posto nell'industria cinematografica privata.
Come recitano le parole di Lizzani: «Genova volle il suo film, e i fondatori della cooperativa furono d'accordo a scegliere come tema della prima opera cinematografica finanziata direttamente dagli spettatori la Resistenza, che proprio a Genova aveva avuto momenti e figure indimenticabili». Purtroppo il progetto della Cspc ebbe vita breve e, per problemi di natura politica, smise di esistere nel 1954.
La trama è costituita da un'intersezione tra due modi di intendere la lotta partigiana in Liguria, ovvero la guerriglia sulle montagne e le organizzazioni clandestine in città e nelle fabbriche, le quali si incontrano al momento della collaborazione tra alcuni «banditi» scesi in città in cerca di armi (così venivano appellati i partigiani, come si evince dal cartello «Achtung! Banditi!» in una delle prime sequenze del film) e gli operai di una fabbrica sotto occupazione nazista. Ad incorniciare questa vicenda il paesaggio collinare delle zone di Pontedecimo e Campomorone; più precisamente il Passo della Bocchetta e il Passo delle Tre Croci. Scorci interessanti di queste zone accompagnano lo spettatore per tutto il film, e secondo lo stile neo-realista vengono privilegiate lunghe inquadrature di esterni che «pedinano» il gruppo di partigiani nei loro spostamenti. Tali riprese del paesaggio si alternano con descrizioni approfondite dell'ambiente operaio e della fabbrica in questione (presumibilmente la Siac di Campi), il che rappresenta una rarità come ricorda Lizzani: «È uno dei pochi film che racconta la fabbrica come luogo di conflitto, di vita, di sopravvivenza. La fabbrica era ed è un luogo poco frequentato dal cinema».
La classica attenzione neo-realista al punto di vista popolare, insieme alla recitazione spartita tra attori professionisti ed attori «di strada», permettono di apprezzare la veridicità e la concretezza degli eventi narrati a tal punto che si fatica a ritenere che Genova e i genovesi siano resi protagonisti del film. Infatti Genova è a tutti gli effetti la base storica del film, il suo popolo funge contemporaneamente da fonte di ispirazione, finanziatore dell'opera e target finale del prodotto; in questo caso relegare la location a un semplice ruolo tecnico all'interno della produzione rischia di sminuirne l'importanza, poiché la Superba con il suo popolo e con le sue vicende costituiscono integralmente il film (complici ovviamente gli stilemi neo-realisti). Numerose scene mettono in evidenza la partecipazione fattiva degli abitanti che cercano di stabilire dei rapporti umani con i partigiani (molto eloquente la scena in cui una ragazza di Campomorone offre prontamente un nascondiglio e del vino ad un giovane partigiano in fuga da una sparatoria). Lizzani è riuscito a riproporre con toni asciutti e concreti una vicenda storica fondamentale per la storia della nostra città e della sua gente, rafforzandone il ricordo e stimolandone la memoria.

L'ambientazione genovese frequentemente viene resa, o come in questo caso è stata effettivamente, teatro di violenze di piccola o grande entità (basti ricordare i numerosi polizieschi di fine anni '70).

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