Cronache

Genoa, il bello di poter contare sui «brutti e cattivi»

(...) Ottimo, ma non sufficiente. Innanzitutto perché la vittoria del Palermo, al di là dei punti fatti dai rosanero, conferma che il tanto favorevole calendario vale al massimo per le statistiche, per ricordare tra qualche anno l'alternanza delle gare. Poi, soprattutto, perché il Genoa di Verona ha ribadito quel che si sapeva della squadra.
Il gol, splendido e difficilissimo, inventato da Marco Borriello sul calcio d'angolo (con Rigoni che dalla bandierina giustifica la sua presenza in campo), ha risolto una partita che si poteva sbloccare solo così. Con una soluzione da fermo. Con un'invenzione di un singolo. E, va detto, con una marcia in più che hanno offerto - sarà un caso - proprio i giocatori che per motivi diversi, sono sempre nel mirino. Il nome dello stesso Borriello viene tirato fuori ogni volta che si parla di unità di spogliatoio o di motivi comportamentali nel gruppo. Sarà, ma l'impegno in campo, e soprattutto i risultati in termini di gol, dicono che il bomber non solo è indispensabile ma addirittura dovrebbe essere additato ad esempio per quanto si sbatte.
L'altro che appena tocca palla viene fischiato e che parte comunque come terza scelta è Ciro Immobile. L'«incompatibile». Quello che non può giocare accanto a Supermarco. Domenica, finché non è entrato lui a portare palloni sulla fascia, era notte fonda, solo il solito schema numero uno, palla lunga e pedalare. E da un'azione di Immobile è arrivato il corner del gol e poi l'occasionissima del raddoppio con Borriello che ha messo fuori. Il che non significa che Borriello e Immobile siano la soluzione a tutti i mali, o che debbano giocare sempre loro. Significa che magari vanno solo giudicati per quello che fanno in campo: bene se giocano bene, male se giocano male. Questo non è il momento per guardare ad altro.
Ed è una regola che vale per tutti. Per la società, che si deve prendere (e si è già presa) le proprie responsabilità per gli errori commessi, ma che non deve essere colpevolizzata se la squadra non riesce a esprimere un gioco accettabile, visto che viene dimenticata quando i giocatori scelti da Preziosi e dal suo staff si dimostrano invece all'altezza. Una regola che vale per il mister, che al contrario è stato spesso esaltato per l'inizio di avventura e a lungo giustificato quando pure la stessa squadra aveva smesso di rendere. A Ballardini vanno riconosciuti i giusti meriti che ha avuto, ma probabilmente devono anche essere ricordati gli errori commessi. E questo proprio per non creare appagamento né tensioni in un ambiente che adesso ha bisogno di tutto tranne che di selezionare eroi e colpevoli. C'è da girare «La salvezza», non a caso un film muto, mica «Il buono, il brutto e il cattivo».
La vittoria di Verona ha confermato che non è stato fatto ancora nulla. Perché già domenica contro il Pescara sarà durissima, contro una squadra che gioca con la testa sgombra e ha dimostrato di saper mettere in difficoltà chiunque. E perché domenica il Genoa sarà chiamato a fare un'altra di quelle partite che gli procurano più grattacapi, alla ricerca della vittoria e del gioco, con l'incubo di subire gol. Poi il Torino, che al contrario di quel che si dice sempre più spesso, avrebbe fatto meglio a vincere o comunque a non perdere il derby. Per costringere la Juve a dare ancora il massimo contro il Palermo, e per non essere costretto lui a dare il massimo proprio contro il Genoa. Ma, appunto, ciò dimostra l'inutilità del tanto decantato «calendario».
Conta piuttosto un'altra cosa, confermata nella trasferta di luci e (alcune) ombre contro il Chievo. Conta il fatto che la squadra mostra le sue paure, ma non certo il menefreghismo di cui a volte viene accusato qualche giocatore. Nessuno tira indietro la gamba, magari sbaglia e sbaglia spesso, ma solo per timore di non centrare l'obiettivo. Al di là delle azioni che si vedono in tv e nelle concentrate immagini selezionate, si notano in mille altri fermi immagine che i giocatori sentono la situazione e danno il massimo. Senza voler stilare classifiche per non fare torto a nessuno, ci sono altri tre nomi da citare. Antonelli e Moretti, ovvero i cloni di Marco Rossi. Capitani parigrado, sempre positivi perché sempre incontestabili, per assurdo soprattutto quando si chinano con le mani sulle gambe stanche, la testa bassa e gli occhi tristi, perché magari la partita non è andata come speravano. E poi Matuzalem, che viene definito «macellaio» se ci mette quella che per altri calciatori «perbene» con più del doppio dei suoi cartellini (gialli e rossi) viene chiamata «determinazione» o al limite «sciocchezza». Matuzalem, sempre ordinato, sempre incazzato quando non sa a chi dare la palla. Incazzato come Borriello quando non riceve la palla giusta. Pronti al «vaffa» perché ci tengono, perché non se ne fregano.
Quelli che lo hanno capito per primi, come sempre, sono i tifosi. Gli stessi che ci credevano prima di Verona, gli stessi che sono tornati a essere da Genoa, dopo diversi mesi di dannose divisioni. Squadra e tifosi sono di nuovo sulla stessa lunghezza d'onda, quell'onda che spinge alla salvezza. Nella speranza che, al di fuori di questo ritrovato tandem, chi non ha ancora capito cosa fare, almeno non faccia danni. Non è finita.

È stato solo fatto il meno.

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