Cronache

L'Apocalisse del XXV secolo e il nostro mondo

L'Apocalisse del XXV secolo e il nostro mondo

Si sbaglia assai chi pensa di leggere La pioggia di fuoco di Emilio e Maria Antonietta Biagini (Edizioni Fede & Cultura) come anticipazione visionaria d'apocalisse prossima ventura. È libro politico, divertente ma angosciante sull'attualità, è storico, religioso, d'arte e letteratura che instilla voglia di apprezzare da sé i riferimenti, vedendo, leggendo. Gli autori - coppia inedita nella scrittura, ma ben collaudata nella vita coniugale - rappresentano un XXV secolo dell'Apocalisse (non sappiamo quando sarà, se vicina o più lontana), che però deriva come conseguenza dal nostro oggi.
Tra i protagonisti di questa società del futuro spicca Sunerazan. Ha simpatie per l'Oriente (si dice sia d'origine armena, con un padre d'ascendenza ebraica); ha studiato in Inghilterra ma ha scelto di vivere a Gerusalemme, città della Pace. Anzi proprio lui ha avuto il Nobel della Pace, ed è arcivescovo di Westminster, Canterbury, cardinale e primate di un'Inghilterra, governata dalla maggioranza islamica (e ormai le religioni sono tutte alla pari). Lo incontriamo quando Papa Gregorio XXV lo chiama a rappresentare il Vaticano presso il parlamento dell'Ue. A Strasburgo ha sede centrale la Bubu (Banca Unitaria della Bontà Universale) che presta ai paesi poveri il «mund», moneta mondiale. Kefa, amministratore unico della banca, professore dalla Sassopnia-Anhalt di luterana memoria, è uomo «sobrio», con una «sterminata collezione di cappotti loden». In questo scenario è appena stato estromesso Simon Brown primo ministro della Nuova Zelanda, terra orgogliosamente isolata nel mondo dipendente dalla Bubu. «SB» era chiamato con affetto questo abile imprenditore che ha dovuto soccombere alla pressione concentrica di alcune procure e ormai la comunicazione mediatica è asservita ai poteri forti. «SB» ha avuto il torto di difendere le classi medie tartassate, d'organizzare feste in villa, con giovani e qualche ragazza.
E qui bisogna capirsi: la società, pronta all'Apocalisse, senza nucleare, povera d'energia, quindi con poco da mangiare e che non guadagnando moneta è tornata allo scambio in natura, ha tre «Kit» di pronto uso: uno per il «suicidio indolore» quando droghe e tranquillanti (molto diffusi) non bastano più al mal di vivere di un'esistenza imbestiata e senza Dio, uno per «l'eutanasia» (praticata per arrivare prima all'eredità), uno per la donna perché «l'utero è suo» e lo usi in libertà. Gli islamici, dominanti il mondo e che grazie a Sunerazan conquistano San Pietro cacciando il Papa, se trovano la propria donna con questo kit, l'ammazzano. Tutto però nasce a monte: dal divorzio che doveva por rimedio a pochi matrimoni compromessi, ma ha dilagato tanto che i giovani si sposano senza cautela di scelta, dall'aborto ormai «strage degli innocenti», da una comprensione per pedofilia e pederastia fino ad ammettere l'incesto. Erano crimini contro cui era stato il cammino di progresso e civiltà fino al 1900. I danni e il castigo dell'Apocalisse sono stati profetizzati dalla veggente Maria Valtorta, non canonizzata per «pervicace rifiuto di un clero progressista» (vedi anche le difficoltà d'accettazione per il suo contemporaneo Padre Pio). A questo clero di professorini razionalisti è dedicata nel libro una frase: «I sacerdoti politicanti sono i nuovi sinedriti».
Chi legge potrà farlo come fosse un divertimento con forti allusioni all'oggi, ma troverà anche la Storia con il ricordo che l'Habeas corpus (1679), fiore all'occhiello del diritto anglosassone, fu preceduto nel 1548 da una costituzione pontificia di Paolo III; troverà le differenze tra rivoluzione definita «mostro diabolico dell'anticristo» e le «insorgenze» in cui il popolo difende i propri diritti: come nel Seicento i cristiani perseguitati in Giappone, come le insorgenze in Vandea (regione francese), in Spagna, Italia e Tirolo contro la bestialità giacobina.
Un libro affascinate. Emilio Biagini, già ordinario di Geografia all'Università di Cagliari, parla cinque lingue (anche il nederlandese e l'afrikaans), ha vinto all'estero sei borse di studio (in Usa la Fulbright), è autore di altri libri tutti interessanti. E per questo è stato ben affiancato dalla moglie, che ha esordito con L'albero secco, anche appassionato ricordo di Monterosso e della tradizione ligure. Non a caso, il libro sarà presentato, da Claudio Eva, che sa emozionare il pubblico quando, il 10 febbraio, parla della sua famiglia coinvolta nell'esodo dei giuliano-dalmati. Con orgoglio, riferendosi a quella fuga, misconosciuta per anni dalle autorità, ripete: «La nostra memoria siamo noi». Deve aver dato fastidio (ai «sinistri» negazionisti delle foibe), pagando con la «barzelletta» della condanna all'Aquila dove, pur se scritta con altre parole, la sentenza dice che «i terremoti si devono prevedere». Nel libro, da centellinare alcuni «mot d'esprit» su nostri magistrati di tal fatta. Alla presentazione, venerdì 11 gennaio, all'Hotel Bristol, sala Paganini, ore 17.30, porterà un breve saluto iniziale il caporedattore del Giornale Massimiliano Lussana.

In, sala oltre a Eva, lo scrittore Rino Cammilleri.

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