Cronache

Luca Zingaretti a teatro ricorda troppo Montalbano

Luca Zingaretti a teatro ricorda troppo Montalbano

Si ha sempre una certa soggezione e deferenza quando ci si avvicina all'arte e di lei si parla. L'arte che nel suo significato più sublime comprende ogni attività umana creativa di espressione estetica priva di qualsiasi pregiudizio da parte dell'artista rispetto alla situazione sociale, morale, culturale, etica e religiosa che le masse stanno invece subendo, e che fa di chi la fa un «eletto». Già..., ed è proprio per questo che c'era un tempo in cui gli artisti lasciavano che il mondo girasse intorno a loro senza bisogno di arte. Quella era al di là del vetro, o meglio, nell'alto di una torre. Lì dove loro, gli «eletti», osservavano la vita degli altri con sguardo distaccato o con il disincanto dell'intellettuale che già conosce. Con la lontananza di chi ha scelto di fare della bellezza la propria vita, il solo principio, e non lo sporcherà mai con le brutture dell'essere. Questa era la torre d'avorio. Questa la convinzione di «art for art's sake». Niente altro. Wilhelm Furtwängler fu indubbiamente un grande artista, uno degli eletti insomma, il più grande direttore d'orchestra del periodo nazista, sicuramente il più apprezzato nella Germania dell'epoca e per questo doveva pagare.
Il commediografo Ronald Harwood, ebreo e appassionato di musica, nella sua commedia (La torre d'avorio) racconta l'incontro scontro tra un maggiore americano e Furtwängler mettendo in scena la domanda sull'autonomia dell'arte di fronte alla politica. Un scontro tra ignoranza sofferente e cultura distaccata che si conclude senza un vincitore. Lo spettacolo di Zingaretti è concentrato sui due personaggi. L'attore qui anche regista è ancora una volta nelle vesti del commissario, il richiamo a Montalbano è immediato e l'attore pur bravo è inesorabilmente succube di quel suo stesso personaggio. Con lui Peppino Mazzotta (ispettore Fazio ne «Il Commissario Montalbano») nei panni di David, un ebreo tedesco cresciuto in America, nuovo richiamo al film, un errore. Ma per fortuna c'è Massimo De Francovich, uno straordinario Furtwängler. Nel complesso, un soggetto ricco di spunti, ma difficile da rendere. Stessa scena per i due atti e troppa staticità complessiva non si capisce se voluta o meno in ogni modo poco favorevole alla resa finale dello spettacolo.

Alla Corte fino a domenica 27 gennaio.

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