Cronache

Il maestro che creò il museo del giocattolo

La Val Fontanabuona è considerata da sempre la patria ligure del giocattolo; in particolare Gattorna da dove, sono a poche decine di anni fa partivano i venditori ambulanti di giocattoli per recarsi alle fiere e alle sagre per le feste patronali in tutta la Liguria e nelle regioni limitrofe. Li ricordiamo ancora con quella grande valigia di legno che in pochi istanti si trasformava in un piccolo scaffale dove comparivano girandole, palline, pistole ad acqua, bambole.
Ed a Gattorna un insegnante ottantacinquenne ha raccolto per sessant'anni questi giocattoli, ordinandoli in un singolare museo che è poi diventato il Polimuseo di Gattorna, perché oltre ai giocattoli, Gian Vittorio Rosasco ha raccolto anche innumerevoli curiosità naturalistiche e uno straordinario numero di oggetti di uso quotidiano. E' così possibile, visitando il museo, ripercorrere un viaggio a ritroso nel tempo ricavandone un interessante spaccato della vita in Valfontanabuona. Collocato nei fondi di una abitazione, messi a disposizione dal Comune di Moconesi di cui Gattorna è frazione, lo si può visitare accompagnati da Rosasco che per ogni oggetto sa raccontarne la storia. A cominciare da quello che è stato il punto di partenza, quando lui, giovane maestro elementare a Neirone, convinse i ragazzi a portare in classe un ramo per ogni tipo di albero che potevano incontrare sul loro territorio. Da questa raccolta sono nate due curiose tavolette con una ventina di spezzoni di ramo per ogni genere di pianta: dal castagno, alla rovere, all'abete. Gradatamente il maestro coinvolgeva i ragazzi nell'osservazione della natura, ed ecco allora i girini, le salamandre, le bisce, e poi i minerali, i fossili, i funghi; nella sala delle curiosità naturalistiche con l'andare del tempo ha raccolto centinaia di esemplari. E sono vere curiosità la lucertola con due code, o il grande nido di calabroni, o la vipera con tre denti veleniferi. Il tutto conservato scientificamente, secondo le regole museali di conservazione.
E dalla natura si passa, in altre due stanze, al museo etnografico dove la vita contadina è rivissuta nei tanti oggetti conservati; dalle comuni zappe, a oggetti che, chi non ha vissuto quell'epoca, non ne comprende immediatamente l'uso; come ad esempio la macchina per tagliare la paglia, onde poterla facilmente distribuire nella stalla, o un torchio ottocentesco con la base in pietra scolpita, o ancora un rudimentale alambicco per distillare la grappa in tempo di guerra. Ogni manufatto racconta una sua storia, un uso che ne fece qualcuno, un frammento di vita che resta immortalata in quel materiale. E se si evita l'approccio solamente nostalgico è possibile contestualizzare gli oggetti, ricostruire le vicende dei passati proprietari, il loro modo di vivere, le condizioni economiche: in effetti ogni oggetto di un museo etnografico può raccontarci tante cose quante potremmo trovare in un documento scritto. Passando alle sale dei giocattoli troviamo le girandole, di cartone, di celluloide, di plastica; le indimenticabili palline a spicchi colorati e ripiene di segatura che legate ad un elastico facevano la gioia di noi bambini alle sagre di paese. Tra l'altro Rosasco conserva anche degli strani apparecchi che servivano per riempire di segatura pressata queste palline. Erano confezionate nelle case, in un lavoro a domicilio che sino alla seconda metà del secolo scorso era ancora diffuso nella valle. Troviamo poi straordinarie macchinine di latta, i cerchi in ferro da far correre in strada, le trottole in legno e gli Jo-jo, alcuni dei quali realizzati artigianalmente in casa, con due semplici bottoni cuciti tra di loro che si avvolgevano su un lungo filo. Ma cosa ci ha entusiasmato è stato il poter rivedere quella complicata valigetta alla quale abbiamo accennato all'inizio, che una volta aperta consentiva di montare un vero e proprio scaffale con quattro gambe su cui disporre i giocattoli da vendere. Un miracolo di praticità quando ancora Foppapedretti era forse appena nata. E su questo oggetto Vittorio Rosasco ci racconta anche una curiosità: spesso era realizzato con una sola gamba di appoggio perché in tal modo esso non doveva poggiare in terra, evitando così di pagare la tassa al Comune: era sufficiente appoggiarlo sul piede del venditore… Il Polimuseo di Gattorna è visitabile l'ultimo sabato del mese dalle 15 alle 19 o, comunque, su appuntamento, telefonando ai numeri 0185.931032 - 0185.

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