Cronache

Il museo che aggiorna la storia del calcio

(...) interi palazzi per ospitarli tutti in una volta. Ma un po' anche perché la visita non è cosa da pochi minuti. Ogni singola stanza va scoperta in ogni particolare e ci sono oggetti, documenti, ricordi che trattengono il visitatore, che lo catturano impedendogli quasi di proseguire alla scoperta di nuovi piccoli mondi rossoblù. Di fronte al taccuino del Professore, di Franco Scoglio, ad esempio, ci si perde. Magari nel tentativo di decifrare quegli scarabocchi, rigorosamente tracciati a penna alternata rossa e blu. Magari nella speranza che un impossibile refolo d'aria condizionata entri nella teca e faccia voltare la pagina per carpire qualcosa in più. E guai a passare distrattamente anche davanti a tabelloni ricchi di fotografie e ritagli di stampe, apparentemente monotoni. Perché si rischia di non scoprire che il Genoa non è solo la prima squadra italiana ad aver vinto uno scudetto nel calcio, ma detiene lo stesso record anche per la pallanuoto, giacché la sezione delle calottine rossoblù, vinse i primi due campionati nel 1913 e nel 1914.
Piccoli esempi, estratti da un universo impossibile quanto ingiusto da descrivere. Particolari di una casa del Genoa che ha certamente nel museo il suo salotto buono. Perché da quell'idea dei primi reggenti della Fondazione, D'Angelo e Carbone, si è arrivati oggi ad avere una raccolta di materiale impressionante che troverà posto ciclicamente nella palazzina San Gio Batta. Ma la casa, per l'appunto, è fatta di tanti altri locali. A partire dal nuovo Genoa Store, rinnovato non solo nell'aspetto estetico ma anche nei contenuti, con nuove linee di prodotti griffati rossoblù, dalla linea alimentare con pasta, canestrelli, vino d'autore, sughi rigorosamente alla genovese, fino ai palloni in cuoio grezzo, perfette riproduzioni dei commoventi «attrezzi» usati dai pionieri del calcio. O alle «copie originali» delle prime «seconde maglie» della storia del calcio. Quelle a cui sarà dedicata la prima mostra temporanea del museo. Quelle, tanto per capirsi, che sono state poi ribattezzate erroneamente «maglie da trasferta», mentre in origine erano al contrario usate proprio dalle squadre di casa per un dovere di ospitalità nei confronti degli avversari.
«Una struttura più vicina e accessibile a tutti, genoani e non, genovesi e turisti», spiegano praticamente all'unisono Gianni Blondet e Giorgio Guerello, reggente e consigliere della Fondazione Genoa. «Un'occasione da vivere ogni giorno, con la possibilità di organizzare incontri e feste per chiunque lo desideri, dai bambini agli adulti. Senza dimenticare l'opportunità di sinergie con l'Acquario, con Eataly e tante altre realtà genovesi», sottolineano Alessandro Zarbano e Daniele Bruzzone, amministratore delegato e direttore marketing del Genoa. Una casa rossoblù, quella di palazzina San Gio Batta, nata e realizzata in 50 giorni e 3000 ore di lavoro. Quasi una corsa contro il tempo per rendere sempre più immortale nel tempo una storia lunga 120 anni. E un risultato già ottenuto, cambiando la sede del museo, è proprio quello di aver allestito locali ricchi di leggenda e simbologia senza cadere nel rischio dell'immobilismo storico. Rispetto al meritevole «esordio» di villetta Di Negro, il nuovo allestimento lega forse molto meglio la storia all'attualità, rende più onore a quello che è in buona sostanza il Genoa: 120 anni che continuano a esistere e a rinnovarsi. Se un appunto c'è da fare, semmai, riguarda il Comitato Storico della Fondazione che ha ristretto a 200 i giocatori che (su facebook prima e direttamente al museo poi) verranno scelti dai tifosi per rappresentare, ciascuno nel proprio ruolo, la formazione ideale della storia rossoblù nella «hall of fame». Nell'elenco molto ampio e ricco di nomi fino al 2011, mancano «dettagli» come Diego Milito, Thiago Motta, Rodrigo Palacio. O Marco Rossi. O Marco Borriello.

La storia, appunto, continua anche ai nostri giorni.

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