Cronache

Quella banda di «duri» fregati da una pizza

Non erano la banda dei «soliti ignoti». Per le mani non avevano un piatto di fagioli, ma la vita di un giovane. Eppure, se non fosse un serio fatto di cronaca, i personaggi di questo sodalizio criminale sarebbero da inserire tra i più sprovveduti. Bulli di periferia, che vivono in un ambiente di spaccio e consumo di droga. Tutti di un'età in cui il sentirsi arroganti ed invincibili è più che altro uno status. I primi quattro sequestratori di Andrea Calevo, escluso il «capo», sono ragazzi a cui piace atteggiarsi su facebook con facce da duri e, come nel caso di Davide Bandoni, farsi fotografare con pose da malavita sudamericana (lui con tanto di accetta in mano). Duri, magari pronti a pestare un uomo legato e incatenato, come avrebbe voluto fare Bandoni, che però alla vista dei reparti speciali di polizia e carabinieri si arrendono senza muovere un muscolo.
A guidare questi criminali improvvisati, e forse a condizionarli, uno che ragazzino non lo è più da tempo e che con la giustizia ha già avuto a che fare, cavandosela sempre in qualche modo. Lui, il «capo» settantenne, Pierluigi Destri (nonno di Bandoni), è un piccolo imprenditore edile, uno che conosceva il valore di Calevo visto che più volte si è servito in ditta. Fra i precedenti di Destri non ci sono solo però condanne per spaccio di stupefacenti, ma anche un coinvolgimento in una rapina in banca come basista. E poi la strana storia di un ragazzo nordafricano che lavorava per lui qualche anni fa e che è misteriosamente sparito. Secondo gli inquirenti è Destri l'ideatore e l'organizzatore della rapina e del sequestro di persona. Però lui, da «capo», non ha partecipato di persona al blitz nella villa di Lerici, ha aspettato che i ragazzini facessero il lavoro, ha diretto e coordinato, per assumere anche il ruolo di carceriere in casa sua.
Una banda da poco, ma che rischia di lasciarsi andare ad atti di violenza, che è stata fregata dall'ordinazione di una pizza. Ecco chi sono i sequestratori di Andrea Calevo, l'imprenditore spezzino rapito due settimane fa e liberato dagli investigatori il 31 dicembre dopo due settimane di prigionia. Nell'epoca del digitale, delle intercettazioni elettroniche e dell'informatizzazione più spinta, anche quando la malavita organizzata ha chiuso con il sequestro di persona a fine estorsivo, un gruppo di sprovveduti manovali era convinto di poter rapire una persona e poi ottenere un riscatto dalla famiglia così come avveniva qualche decennio fa. Li hanno beccati facilmente, a tempo di record (anche se per il prigioniero 15 giorni sono lunghi). Da più giorni gli inquirenti, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia, erano sulle loro tracce. Li ascoltavano e li filmavano, sapevano nomi e cognomi, ruoli, indirizzi e conoscenze, non avevano ancora la certezza di dove fosse la prigione in cui era stato rinchiuso Andrea Calevo, ma è bastata una frase, intercettata durante una telefonata, per capire tutto. Una pizza, o meglio l'ordinazione di una pizza, è stata la prova finale. Poi nella notte del 30 dicembre gli ultimi appostamenti e finalmente, quando Destri è uscito di casa a metà mattina, è scattato il blitz che all'alba dell'ultimo dell'anno ha ridato libertà al giovane imprenditore.

Prima hanno isolato le utenze telefoniche della banda, in modo che non potessero parlarsi in caso di sospetti, nel caso qualcuno avesse avvistato le centinaia di uomini che con auto ed elicotteri stavano intervenendo, poi hanno bussato alle porte o li hanno fermati in strada.

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