Cronache

«Salverei la città antica e le attività che Genova ha perduto»

Completo il racconto dei miei ricordi. E sempre a proposito di cose perdute, dopo quello che ho raccontato nelle puntate precedenti, vorrei aggiungere quello che merita salvare. Salverei i vecchi tramway. Quei baracchini a più vetture che impiegavano una infinità di tempo per percorrere la tratta Nervi/via Petrarca e viceversa oppure Piazza Caricamento/Voltri e viceversa oppure Caricamento/Pontedecimo e viceversa. Il conducente, in piedi, appoggiato ad un trespolo (che poteva sembrare un seggiolino), lavorava sul reostato per l'avvio della marcia e, di tanto in tanto, frenando utilizzava il segnale acustico (una campana) quando il binario non era libero. E qui bisognerebbe aprire un altro capitolo. I conducenti di carri a mano (ma anche carri trainati da animali), ponevano le ruote di un lato dei carri sui binari della tramvia al fine di farle rotolare meglio e faticare meno. Le strade dissestate non sono un'invenzione di oggi. Lo sono sempre state. Ma sarebbe troppo lunga da raccontare. I titoli di viaggio venivano venduti sulle vetture dai bigliettai che, chissà perché, insistevano nel dire che più avanti vi sarebbe stato molto più posto. Vi era anche il tram che percorreva la circonvallamonte e, arrivato all'attuale piazza Ferreira, si infilava in una galleria a spirale e sbucava in piazza Acquaverde, davanti alla stazione ferroviaria Principe. Per chi non lo sapesse, la primitiva stazione Principe non è altro che la minuscola costruzione sita in piazza del Principe. Il cancello, un tempo, veniva utilizzato per l'ingresso di merci. I taxi, i tram ed i filobus, erano dipinti di un bel verde ed il personale conducente vestiva la divisa. I taxi avevano il cristallo divisorio tra conducente e passeggero. L'autobus dell'UITE che sostituiva il filobus (stazione Principe/Foce) nelle ore in cui non veniva erogata la corrente elettrica, disponeva della cabina di guida, isolata dal resto dell'autobus.
Salverei anche i vecchi giornali. Ricordo «L'Avvisatore Marittimo» che elencava le navi in arrivo ed in partenza descrivendo la provenienza, il carico, i porti che avrebbe visitato. Ma salverei anche la piccola costruzione posta sul muraglione di corso Aurelio Saffi dove gli Avvisatori Marittimi, scrutando l'orizzonte, individuavano le navi in arrivo, ed avvertivano gli interessati circa l'ora di attracco delle navi stesse.
Salverei la Borsa Merci e la Borsa Valori che, durante le operazioni sembrava un mercato in rivolta e le grida si udivano distintamente sia a De Ferrari che a Banchi.
Salverei i vecchi rimorchiatori e la Pilotina che, con ogni condizione meteo, si avventuravano in mare per prestare aiuto ed assistenza a navi in arrivo od in partenza.
Salverei la vecchia via Madre di Dio e la vecchia Piccapietra, salverei Villetta Dinegro e l'Acquasola. Salverei, dallo scempio delle bande latino/americane, la bella San Pier d'Arena di un tempo. Salverei la città antica. Salverei i vecchi prestigiosi negozi, le importanti imprese, le storiche ditte, e tutte le attività che hanno abbandonato per sempre la nostra povera, meravigliosa, stupenda Genova. Insomma! Salverei, salverei, salverei. Ma non riesco a capire perché. E, poi, ricordare e scrivere dei vecchi partiti politici, comporterebbe richiamare alla memoria il sudiciume della politica di allora (che non è molto diverso dal sudiciume della politica attuale), i cambi di casacca, le vigliaccherie, italiani comunisti acerrimi nemici degli italiani non comunisti. Il doloroso triste esodo degli italiani dalle terre Giuliano-Dalmate (regalate dalla politica politicante togliattiana a quello stinco di santo del maresciallo Tito). L'odio degli italiani nei nostri confronti. La fuga dei profughi verso Nazioni più ospitali. Dovremmo ricordare anche la politica attuale e, sono convinto che, se togliessimo il coperchio al maleodorante vaso che la contiene, troveremmo, uniti da un robusto filo d'oro, cuciti uno agli altri, malavita, politica, alta finanza, magistratura, chiesa e... Non lo faccia caro Lussana. Siamo proiettati nel futuro. Le nuove e nuovissime generazioni non sanno che sino a non molti anni fa, fuori dalle mense aziendali vi era la coda dei mendicanti che andavano ad elemosinare il cibo che avanzava. Non sanno che, per un certo periodo, il biglietto del tram o dell'autobus, veniva pagato a «tratte» e molte persone, per risparmiare qualche centesimo di liretta, percorrevano alcune fermate a piedi. Non sanno che negli anni Cinquanta l'analfabetismo, in Italia, era altissimo e gli alfabetizzati, poverini, non erano in grado di leggere un giornale. Ignorano il passato. Si disinteressano del presente. Non siamo riusciti a parlare il loro linguaggio. Non sanno e non vogliono sapere. Forse hanno ragione. D'altra parte anche la nostra sfortuna Genova è stata declassata da «Superba» a «Nullità Presuntuosa...» Sono i tempi, caro Lussana. Dobbiamo adeguarci.


Saluti a lei e alla sua stupenda Redazione.

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