Cronache

le testimonianze

2 BEL TEMPO CHE FU

Quegli zoccoli fatti a scarpe

«inventati» nell'inverno del '45

Caro Massimiliano, ho vissuto la prima infanzia negli anni quaranta e ricordo cose che non esistono più, come le grette o le carriole costruite con assi di legno, ma non so quanti lettori ricorderanno gli zoccoli fatti a scarpe. Era l'inverno 1945, la guerra era finita da alcuni mesi, ma i soldi erano pochi e il freddo si faceva sentire. Allora un vecchio calzolaio confezionò degli scarponcini con le suole in legno e la tomaia in stoffa e, con un bel paio di calzettoni di lana, i piedi erano caldi. I termosifoni non esistevano, almeno nelle case dei meno abbienti, ed allora, per scaldare il letto, usavamo una bottiglia, mi pare fosse in piombo, piena d'acqua calda. Purtroppo durante la notte si raffreddava.... Un mare di ricordi, ma voglio lasciare spazio anche agli altri lettori.
Un abbraccio.

2 RICORDI

La vera conquista dell'infanzia:

un monopattino o un triciclo

Non ho letto il libro di cui lei scrive, caro dottor Lussana, ma mi riprometto di farlo quanto prima (attualmente ho due ponderosi volumi, «parcheggiati» nello studiolo, accanto al computer e dovrei leggerli ma la pigrizia...) però, notando che Guccini parte dalle «Nazionali» post-secondo conflitto mondiale, mi vien da pensare di essere terribilmente in là con gli anni dei miei ricordi.
Per iniziare, dirò che non sono fumatore e le mie reminiscenze risalgono a quando le «Popolari», sigarette a basso costo, venivano smerciate, sfuse, nelle privative di «Sali, Tabacchi, Valori Bollati e Chinino di Stato».
Non si parlava di tabagismo, allora, e molti consumatori di sigari (toscani, mezzi toscani, romani o romanini), dopo averli utilizzati, in parte, anziché buttare i mozziconi, li masticavano ed inondavano il pavimento stradale di una stomachevole e puzzolente saliva scura o, ancora accesi, li infilavano in bocca dalla parte della brace perché, dicevano, davano maggior soddisfazione. Mah!
Il monopolio di Stato commercializzava una infinità di tabacco nazionale e straniero: sigarette, sigari (gli estimatori, della quarta o quinta età, ricorderanno i «Minghetti», i sigaretti con la pagliuzza centrale da estrarre prima di accenderli), tabacchi da masticare e da presa (da fiuto) e in scatola, tubetti di carta muniti di filtro, pronti per essere riempiti di tabacco utilizzando le apposite macchinette ed era un lavoro che veniva fatto di volta in volta in casa.
Il tabacco fa male? Non lo so. Dovessi prendere esempio dalla bisnonna materna (deceduta a Trieste nel 1951, alla bella età di 106 anni), direi che non è vero. Fiutava (pensando che nessuno se ne accorgesse), quasi in continuazione. Il tabaccaio di fiducia le preparava una mistura profumatissima perché, diceva, quella preziosa, profumata polverina da presa era l'unico rimedio garantito(?) per preservarsi dal raffreddore e, considerando i 106 anni vissuti intensamente da nonna Angeline, fa pensare che quel tabacco sia stato provvidenziale. Quali ricordi serbare? Tutti? Nessuno? L'oblio non è la miglior soluzione. I ricordi fan parte della nostra vita e, belli o brutti che possano essere, sono ciò che abbiamo vissuto. Iniziano con la puerilità dei nostri primi giochi per arrivare, dopo una vita di studio, divertimento, esperienze, amore e lavoro, alle responsabilità di chi desidera formarsi una famiglia.
Andando a rovistare nel cestino della memoria, penso di aver avuto una infanzia felice, nonostante non esistessero i giocattoli sofisticati che, oggi, riempiono le vetrine dei negozi specializzati. Alcuni giocattoli ce li costruivamo. Non erano perfetti ma ci divertivamo ugualmente. Avere un monopattino od un triciclo era una bella conquista e possedere una bicicletta era il massimo che un ragazzino potesse desiderare. E si poteva andare tranquillamente a giocare nel giardino sottocasa poiché non esistevano rischi. Il pericolo vero e proprio poteva essere rappresentato dall'arrivo improvviso dei vigili urbani che, se ti trovavano seduto sui bordi delle aiuole, elevavano contravvenzioni da togliere la serenità. Lire 10 e 10 centesimi. Era una bella sommetta. Una famiglia media poteva spenderla per una giornata di cibo. Le necessità aguzzavano (anche allora) l'ingegno ed invogliavano i ragazzi a cimentarsi con sport nuovi. Noi vivevamo a Pola, città di mare con un litorale pieno di insenature meravigliose e pescosissime. Attrezzature per la pesca subacquea, oggi di uso comune, non esistevano ed i miei zii, tra una birichinata e l'altra, erano riusciti inventandole, a costruire le maschere per andare sott'acqua ed un primitivo tipo di freccia, che veniva scaraventata da una fionda (adattata alla bisogna).
Per preparare la maschera avevano utilizzato la camera d'aria di una ruota di scorta della macchina di nonno (che quando se ne accorse andò su tutte le furie...). Per il vetro avevano coinvolto un artigiano, mentre per le frecce pensarono bene di utilizzare le stecche metalliche di un paracqua di nonna, distruggendolo. A dire il vero, la loro prima cattura non fu un animale acquatico ma, inaspettatamente ed involontariamente, durante le prove generali, una ragazzotta di nome Thea che frequentava casa dei nonni e per la qual ragazza tutto il gruppetto di sciupafemmine trepidava. Quel pomeriggio, Thea, aveva avuto la sfortunata idea di imboccare il corridoio di accesso al cortile.

Nei prossimi giorni vi racconto il seguito.
Enea Petretto

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