Cronache

le testimonianze

2 CORREVA L'ANNO 1940

La maestra, dopo la mamma,

era la persona più importante

Caro dottor Lussana sono una anziana signora che ha frequentato le elementari tra il 1940 e il 1945. Il mio più vivo ricordo di qualcosa che non esiste più. È quello della mia MAESTRA. Dopo la mamma (mio papà era sotto le armi) la persona più importante per me era la maestra che mi ha insegnato tante cose: lavoravamo a maglia per fare le calze per i soldati in Russia, avevamo un piccolo orto. La sola maestra mi ha accompagnato per anni, lasciandomi tanti ricordi. Pensando sempre a cose perdute. Ricordo i giochi della mia infanzia; mosca cieca, guardie e ladri, la settimana disegnata con il gesso sul pavimento dei giardinetti. Purtroppo i miei nipotini sono tecnologici e non capiscono di che razza di giochi io stia parlando... Grazie per avere promosso questa fuga nel passato.

2 RIMPIANTI

I maschi giocavano alle biglie,

le bimbe con bambole di carta

Noi bambine mentre voi giocavate a biglie stavamo buone buone a casa a disegnare bambole di carta con i loro vestitini. Per farli stare a posto dopo averle ritagliate aggiungevamo piccole alette di carta e non avevamo la Barbie ma tanta creatività! Grazie dei ricordi che avete fatto diventare realtà.
Renata Robert
2 LA FINE DELLA STORIA

Così la freccia si conficcò

nei glutei della bella Thea
L'inizio della storia è stato pubblicato ieri. E avevo promesso di raccontare il seguito, in particolare sui miei zii («inventori» di un'attrezzatura subacquea completa di maschera, fionda e frecce) e sulla ragazzotta Thea che frequentava la casa dei nonni e di cui tutto il gruppetto di sciupafemmine trepidava. Dunque: i miei zii illustravano alla combriccola di amici (tutti giovanissimi) l'efficacia del nuovo sistema di pesca ma, durante la prova pratica, mentre chiarivano l'uso della loro diabolica invenzione, la freccia «scoccò» improvvisamente dalla fionda e, «infilandosi» sfortunatamente in quel corridoio, infilzò uno dei sodi glutei di Thea che, dolorante, spaventata e sanguinante, non riuscendo a rendersi conto di quanto poteva esserle accaduto, pensò bene di svenire facendo morire di paura tutto il gruppo di ragazzi che, come un sol uomo, si fa per dire, sparì immediatamente lasciando i miei zii in un immenso mare di guai.
La ragazza venne soccorsa dal medico di famiglia che, intervenendo tempestivamente, riuscì a liberare il prezioso gluteo da l'incomodo dardo ed in pochi giorni, quello splendore di ragazza si riprese completamente, con enorme sollievo dei responsabili del misfatto ma con grande disappunto di un dipendente di nonno che, accorso per primo in aiuto della poverina, le aveva massaggiato, con cura ed impegno, il gluteo sano ed altre parti del corpo perché, ci aveva detto, il dolore le sarebbe passato prima ed una ulteriore stimolazione manuale sarebbe stata il toccasana. I miei giovani zii, invece, vennero chiamati a rapporto nello studio di nonno ed appena chiusa alle loro spalle la pesante porta... Di tanto in tanto riuscivamo a sentire qualche parola di ciò che diceva (con quel suo teutonico, a volte dolce, accento viennese) alle povere «vittime» e non promettevano nulla di buono. Sembrava molto alterato ed i Taugenichts (fannullone), Bettler (lazzarone), Teufelsbrut (razza diabolica), Bestrafung (punizione), Teufelsdreck (meglio non tradurre), venivano percepiti tra le mille altre parole. Insomma fu una dura punizione. Poverini e la loro invenzione rimase nei progetti.
Caro dottor Lussana, chiede cosa salveremmo dall'oblio? Salverei i «bragozzi», le caratteristiche barche a vela dell'alto Adriatico, non più utilizzate da anni, che venivano usate sia per la pesca che per il trasporto di merci da e per porti e porticcioli. Era bello vederli attraccati alle banchine durante carico e scarico delle merci mentre, cullati dal riflusso marino, dondolavano, in attesa del vento favorevole per riprendere la navigazione. Salverei i cibi che un tempo venivano venduti, cotti, agli angoli delle strade. Qualcuno ricorderà certamente i venditori di castagne e la delizia nel sentire l'aroma del frutto abbrustolito e, perché no? il piacevole senso di tepore che il cartoccio di marroni appena acquistato trasmetteva alle mani. Salverei i venditori di «mussoli» (il mussolo o arca di noè, è un mollusco diffuso in tutto il Mediterraneo ma conosciuto principalmente sulle coste orientali dell'Adriatico). Quel mollusco, delizia del palato, posto sul fondo forellato di un padellone e ricoperto da un sacco di juta, veniva cotto come le castagne. Dopo pochi minuti sul fuoco le valve si aprivano e la delizia era pronta da assaporare. Servita su piatti di coccio ed ecco pronta una colazione od una merenda niente male. Lei scrive di frigoriferi ma avere la ghiacciaia era già una conquista. Il più era poterla rifornire delle barre di ghiaccio necessarie, particolarmente d'estate e, benché l'omino addetto al rifornimento passasse ogni mattina per riempire il contenitore, verso sera il cibo chiuso nella ghiacciaia iniziava a deteriorarsi. E poi vi era il problema del ricupero della liquefazione del ghiaccio e, più ghiaccio era stato posto nell'apposito vano, più liquidi si dovevano ricuperare.
E poi, se riuscisse a parlare con qualche bisnonna, le ricorderebbe che il burro (durante le estati calde) veniva messo a bagno nelle catinelle piene di acqua fredda. Irrancidiva lo stesso però, la bisavola, poteva brontolare contro chi aveva acquistato burro in eccesso. Vi era anche «il rimedio della finestra». Le pentole con il cibo venivano poste tra la persiane e le ante a vetro delle finestre e, a quanto dicevano le nostre nonne, il cibo non si avariava. Da salvare vi sarebbe anche il fornaio che, lavorando sodo di notte, riusciva ad aromatizzare l'aria mattutina con il profumo del pane appena sfornato. Il gioco delle gritte? Ma santo cielo, bisognerebbe ricordare ai «ragazzini di 60 o 70 anni» che le gazzose venivano vendute, dall'imbottigliatore (quasi sempre un artigiano locale), in contenitori di vetro e, nel collo della bottiglia, poneva una biglia di vetro smerigliato.

Ma questo ve lo racconto un'altra volta.
Enea Petretto

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