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Dal ghetto alle luci della tv. L'incredibile vita di Noah

L'infanzia e gli anni difficili a Soweto, poi l'arrivo negli Usa. Oggi è uno dei 100 uomini più influenti al mondo

Dal ghetto alle luci della tv. L'incredibile vita di Noah

Tra le luci degli studi tv di Manhattan e le lamiere di Soweto ci sono un oceano e migliaia di chilometri. Ma per fare il grande salto Trevor Noah ci ha messo non più di cinque o sei anni. La rivista Time lo ha inserito tra i 100 uomini che contano di più al mondo; per Hollywood Reporter, invece, è tra le 30 personalità che dettano legge nei media Usa. Merito del suo programma serale, The Daily Show, popolare appuntamento satirico in onda su Comedy Central: nelle ultime due edizioni la striscia quotidiana ha conquistato altrettante nomination agli Emmy e in un'occasione ha vinto il massimo premio. Così il volto di Noah, e quello della fidanzata, la cantante Jordyn Taylor, sono diventati familiari a tutti i lettori di riviste patinate. L'ultima notizia che li riguarda è l'acquisto di un attico da quasi dieci milioni di dollari in una delle zone più eleganti di New York.

Non male per un ragazzo, oggi ha 34 anni, cresciuto nella più famosa città ghetto sudafricana ai margini di Johannesburg e arrivato stabilmente in America solo nel 2012. Da allora, per non farsi mancare niente, ha trovato anche il tempo di scrivere un libro sulla sua vita, Born a crime, finito al primo posto della classifica dei bestsellers del New York Times. Il titolo, «Nato criminale», si riferisce alla storia personale dell'autore. Noah è figlio di uno svizzero-tedesco e di una donna di colore di etnia xhosa. Al momento della sua nascita sono in vigore le leggi sull'apartheid che vietano i rapporti sessuali tra razze diverse e la madre viene arrestata più volte per la colpa «sentimentale» di cui Trevor è simbolo. Alla famiglia è proibito avere una vita in comune e il bimbo cresce a casa della nonna, in tutto due stanze dove abita un pittoresco clan di zie e cugini. Poi, lasciato il partner bianco, la madre si risposa con un uomo di colore, ma la situazione non si normalizza, anzi: quando Noah è ancora ragazzino il patrigno, alcolista, viene arrestato per aver tentato di uccidere la moglie. Nel frattempo, liberato Nelson Mandela e abolito l'apartheid, il futuro comico si trova ad affrontare dalla prima linea di Soweto la vera e propria guerra civile con centinaia di morti per il predominio politico tra la popolazione di colore: da un parte l'Inkatha freedom party, prevalente tra gli zulu e l'African National Congress forte soprattutto tra gli xhosa.

La storia potrebbe facilmente finire male, portare all'emarginazione o alla galera. Le cose vanno diversamente: grazie agli sforzi della madre il piccolo Trevor frequenta una buona scuola privata. Qui impara l'inglese e l'afrikaans; nei vicoli di Soweto i suoi coetanei gli insegnano lingue e dialetti del composito melting pot nero: xhosa, zulu, sotho, tswana, tsonga; per riallacciare i rapporti con il padre si mette a studiare tedesco. Da questo percorso ha origine una delle caratteristiche che lo rendono subito popolarissimo in Sudafrica. Saltando da una lingua all'altra, anche se usa con assoluta prevalenza l'inglese, mette alla berlina tic e vizi delle diverse comunità: la nostalgia dei bianchi per il passato coloniale, l'ignoranza dei nuovi ricchi «coloured», l'arroganza e l'approssimazione dei politici «neri» appena arrivati al potere. A vent'anni o poco più Trevor ha già un suo show, partecipa alle trasmissioni più popolari, gira un documentario sugli anni dell'esordio. Poi tenta subito il grande salto con spettacoli e apparizioni, prima in Gran Bretagna e poi nella mecca dello show business, gli Stati Uniti.

Qui l'incontro fondamentale è quello con Jon Stewart, che dal 1999 guida il Daily Show. Stewart lo invita sempre più spesso. E quando decide di passare la mano, dopo 16 anni ininterrotti di conduzione, la rete gli lascia il privilegio di scegliere il suo successore. Lui, a sorpresa, sceglie proprio il ragazzo sudafricano.

Una volta al volante della trasmissione Noah gioca bene le sue carte; viene da lontano e incomincia a prendere in giro gli americani: la passione per gli sport e la forma fisica, la superficialità, l'ignoranza di ogni mondo che non sia a stelle e strisce, il razzismo latente. Battute pungenti dette però con stile e simpatia, senza lasciare un retrogusto amaro. Solo in un'occasione viene coinvolto in una polemica per alcune battute sull'Olocausto: per difenderlo deve intervenire anche il presidente della Comunità ebraica sudafricana. Poi anche Noah viene benedetto dall'elezione di Trump alla Casa Bianca. Beniamino dell'America profonda, Donald è, al contrario, lo zimbello della media borghesia cittadina, che vive soprattutto sulle due coste del Paese. Chiunque lo prenda di mira ha vita facile con l'audience.

Il comico di Johannesburg non fa eccezione e, anzi ci dà dentro, approfittando di una cultura politica che autorizza anche colpi bassi e battute che in Italia sarebbero inammissibili. Oggi Noah cavalca il successo con ritmi frenetici. Dal lunedì al venerdì è impegnato a registrare le puntate del suo show, durante il week end gira il Paese per gli spettacoli teatrali, esibizioni da consumato maestro della stand up comedy: monologhi umoristici nella forma più pura, in scena c'è lui e basta, al massimo uno sgabello. Ancora lontano dai 40 anni è ormai diventato a suo modo un simbolo: sul suo libro stanno perfino girando un film.

Nel cast (interpreterà la madre) figura anche Lupita Nyong'o, premio Oscar per «12 anni schiavo».

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