Roma

Il giallista «scopre» l’inganno

Talento, stile, intelligenza, passione, rispettoso amore per il pubblico e per un’arte che, come dice lui, «aiuta a vivere». Sono questi i tratti salienti di quel significativo lavoro di attore e regista che Glauco Mauri porta avanti sulle nostre scene da oltre sessant’anni, trenta dei quali condivisi con un artista altrettanto sensibile e appassionato quale Roberto Sturno (era l’81 quando nasceva la compagnia Mauri-Sturno, ancora oggi modello esemplare di impresa privata quanto mai attenta al ruolo sociale ed educativo del teatro).
Il segreto di un successo così lungo e solido ha radici profonde: l’interesse per i classici così come per i testi contemporanei; l’eleganza di un registro interpretativo personale ma mai criptico; la capacità di scandagliare con limpida saggezza il senso ultimo delle parole e dei personaggi; il desiderio sincero di stupire gli spettatori, di emozionarli, di farli tornane a casa diversi e cresciuti.
L’intera carriera di Mauri sembra muoversi assecondando questi obiettivi, anche quando egli ha abbracciato imprese meno convenzionali e più coraggiose come la solare avventura della Compagnia dei Quattro, che smosse lo scenario teatrale italiano negli anni Sessanta, o come i numerosi allestimenti dedicati ad autori odierni e poco conosciuti da noi.
Adesso il Valle gli dedica una monografia ricca di eventi che punta a valorizzarne il sapiente artigianato teatrale e che trova i gangli centrale nella proposta dell’ultima sua pièce, L’inganno di Anthony Shaffer, di cui Mauri firma anche la regia e dove recita ancora una volta al fianco di Sturno (da questa sera al 28 marzo).
Il titolo originale dell’opera suona «Sleuth», un termine che evoca l’idea di un’investigazione, di un mistero. Ma di quale mistero si tratta? Due personaggi molto diversi tra loro, uno scrittore di gialli e l’amante della moglie di questi, giocano a ingannarsi a vicenda, a contendersi la medesima donna, a ferirsi crudelmente, a mettere a nudo le reciproche frustrazioni e fragilità.
Si tratta di un gioco all’ultimo sangue, condotto anche a suon di virate ironiche e grottesche, che muove gli animi con scossoni e trabocchetti imprevedibili. L’evidenza non è mai tale. La falsità non è mai condannabile.
E alla fine chi tiene le fila di questo raffinato thriller psicologico è proprio il pubblico. È al pubblico che l’autore delega la sua necessità di investigazione. È il pubblico che decide chi sia la vittima e chi il carnefice. Uno spettacolo dunque dai temi molto moderni e assolutamente in linea con quell’amore per Sameul Beckett che da sempre accompagna l’avventura artistica del maestro pesarese.
Non è un caso, d’altronde, che all’interno della vetrina ETI, insieme con una lectio magistralis fissata per lunedì prossimo 15 marzo e a una rassegna video di vecchi titoli, trovi spazio anche una serata beckettiana (lunedì 22 marzo) all’interno della quale verranno proposti L’ultimo nastro di Krapp (regia dell'interprete) e la proiezione di una versione televisiva di Atto senza parole diretta da Enrico D’Amato nel ’67.
Al teatro Valle fino al 28 marzo. Informazioni allo 06.

68803794.

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