Cronaca locale

Il giocattolaio che fa la guerra alla playstation

Il gioco più divertente? Il Monopoli perché si gioca in compagnia. E il più formativo? Il Meccano ma forse anche i Lego. Guglielmo Morosini, classe 1939, da 56 anni sulla plancia di comando del grande negozio di giocattoli in viale Gian Galeazzo 31 (320 metri quadrati, qualcosa come 8mila referenze) discetta di macchinine, bambole e simili, come un golosone parlerebbe di cannoncini alla crema. «Stiamo parlando - puntualizza - di giocattoli rivolti a bambini tra i sei e i 10 anni perché i più piccoli continuano imperterriti a preferire i Gormiti». E se lo dice lui gli si può credere. Morosini è presidente della associazione milanese di categoria e ha altri due punti vendita all'ingrosso: un self service di 1300 metri quadrati in via Fontanili e un capannone a Siziano. Insomma, più che un uomo, un libro aperto sul modo di giocare di generazioni di milanesi.
Morosini apre il flusso dei ricordi e, quasi quasi, si commuove. «Quando ero piccolo io - dice - i maschietti giocavano coi moschetti 91 a tappo». Andavano molto anche gli immancabili soldatini in cartapesta con atteggiamenti cristallizzati nel saluto romano. «E perfino piccole riproduzioni di altari - svela - con tanto di statuette dei santini in stagno, perché a quei tempi, in cui parrocchie e oratori avevano un ruolo centrale nella vita della famiglia, si giocava anche a dire messa». E le bambine? «Per loro solo bambole di pezza, mastelline in legno per lavare, cestini di lavoro e pentoline in alluminio». Una bella differenza rispetto alle generazioni di Barbie e della playstation. «Anche se l'anno scorso - prosegue - dopo quasi 20 anni di crescita incontrastata, i giocattoli elettronici hanno avuto un crollo del 50 per cento nelle vendite».
Ne parla con una punta di soddisfazione. Perché i passatempi elettronici lui non li vende più da quando ha capito che «con quei belé lì» i bambini si incupiscono e dimenticano genitori, fratelli e coetanei. «A Milano - prosegue l'imprenditore dei sogni - calciobalilla, piste con le automobiline elettriche e altri giochi di condivisione non esistono quasi più, non li compra più nessuno perchè ormai li considerano d’altri tempi: a me sembra molto triste anche se poi ci rifletto e capisco che non è così».
Per fortuna qualcosa sta cambiando. Dopo l'abbuffata di microchip, nelle preferenze dei bambini (e dei genitori che in molti casi glieli comparno per tenerli buoni) milanesi stanno riprendendo quota i giocattoli scientifici come il microscopio, il telescopio, il planetario, la germinazione dei semi, le piccole stazioni meteorologiche, il corpo umano da costruire pezzo su pezzo come se fosse un puzzle e via elencando. Che siano proprio i bambini del 2010 le avanguardie di quella «generazione degli ingegneri» che i sociologi e gli studiosi stanno aspettando da tempo? Morosini ha buone speranze. Altro fenomeno recente, secondo lo storico giocattolaio di Milano, è la ricomparsa di una bambola che, nata negli Anni Sessanta, è di nuovo nelle preferenze delle piccole milanesi. Si tratta di Cicciobello, il pargoletto ormai cinquantenne di Giochi Preziosi, tornato a far sognare le bambine di oggi e le rispettive nonne che ci avevano a loro volta giocato parecchi lustri fa. Revival a parte, tutta la storia dei giocattoli è contrappuntata da exploit che segnano le diverse tappe del progresso: negli Anni Cinquanta l'Italia di Rossellini e De Sica si fa largo nel mondo grazie al Neorealismo? E a Milano i giocattoli seguono l'onda. «In quel periodo - prosegue l'esperto - ci fu un vero e proprio boom nelle vendite dei proiettori giocattolo. Cito due soli nomi: CineMax e Cinebral che funzionavano con spezzoni di pellicola tratti da film. Giganteggiavano anche il meccano e il traforo - prosegue Morosini - che accompagnarono l'infanzia di migliaia di futuri artigiani». Sempre nei Cinquanta le bambine più meritevoli cominciarono ad avere in regalo le prime bambole realistiche: giovanette finalmente di plastica, con occhi mobili e capelli in rayon quasi pettinabile. Ma è nel Sessanta che l'industria del giocattolo diventa maggiorenne. E il Boom spinge anche l'industria delle bambole. Susanna, Sheila e Silvie, le tre bambole con tanto di corredini prodotte dalla Furga, sono nomi magici che forse riaccenderanno qualche ricordo d'infanzia nelle signore non più giovanissime. Come il Cinevisor, primo giocattolo ispirato alla televisione, che all'epoca fece bramare milioni di maschietti e che era prodotto dalla ditta Viser di Firenze. E poi flipper a batterie, robot, giocattoli sportivi (qualcuno ricorda gli schettini Gioca?) aeromodelli in kit e molto altro: in Fiera i produttori italiani di giocattoli occupavano metà area della Campionaria. E per stare dietro agli ordini, la mantovana Furga assunse 1500 dipendenti.
«Oggi purtroppo è l'immancabile Cina - svela Morosini - a produrre su licenza l'84 per cento dei giocattoli italiani. E a Milano sono rimasti solo 19 negozi, mentre nel 1980 erano ancora 120». Colpa dell'aggressività della grande distribuzione e dei prezzi degli affitti commerciali: «Per esporre i giocattoli - conclude Morosini - ci vuole molto spazio.

E ormai a Milano lo spazio costa davvero troppo».

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