Cultura e Spettacoli

Con il «Giornale» la «lettera aperta» di Maselli

Il film-manifesto sull'intellettualismo (noioso) di stampo comunista

«Lettera aperta a un giornale della sera» di Francesco Maselli (con «il Giornale» a 9.80 euro) è sì un film ma è - soprattutto - un documento storico. Che, visto oggi, fa sorridere per la carica autoironica (tragicamente involontaria) di gran parte delle scene. Diciamolo subito: un polpettone intellettual-ideologico farcito da noia e tanta spocchia «comunista». I comunisti, infatti, ai tempi del film-denuncia (o meglio, «da denuncia») di Maselli erano vivi (beh, vivi fino a un certo punto...) e vegeti (beh, vegeti fino a un certo punto...): per il berlingueriano partito della falce e martello era infatti l'anno di grazia 1970, e nelle redazioni ci andavano giù duri con i pistolotti. Per non parlare delle pistolettate. Qualche critico, nel recensire oggi la pellicola di Maselli, la butta tragicomicamente sul politico; e scrive, con sprezzo del ridicolo: «(...) Un'opera dal sapore etnografico, su un tempo che non c'è più e su un paese ancora lontano dalla derive del berlusconismo». Ah ah ah. E poi: «Quella era l'Italia del '68 un paese che stava per riversarsi in piazza e dividersi come solo l'apparizione del Messia di Arcore riuscirà nuovamente a provocare: i proletari, parola oramai logora, lottavano travestiti da studenti contro i poliziotti e contro uno Stato che stava per farsi stragista e gli intellettuali, loro sì dei veri borghesi, erano divisi tra il dire e il fare, tra i privilegi e la lotta». Meraviglioso...prendete appunti, mi raccomando...): «Maselli li ritrae come chiusi in gabbia, quella gabbie costituite dai loro stessi attici in quella Roma sempre più fetente, così astratti eppure così veri nelle loro debolezze di carne: in scena c'è la crisi interna di un'intera fetta della società italiana dell'epoca, dove ricchi giornalisti, registi, editori, imprenditori, artisti e quant'altro erano ostaggi della propria meschinità e dove l'unico comun denominatore erano i desideri sessuali di uomini perversi e donne emancipate». Scopriamo così che il film è portatore sano (beh, sano mica tanto...) anche di una «vera chicca». Eccola: «Quella di aver saputo dipingere con spietato cinismo il mondo borghese-impegnato all'apice della sua vergognosa crociata comunista, molto più avvezzo alle lenzuola e alle mutande che alla falce e al martello». Bunga bunga, evvica il comunismo della libertà! «Per questo, "Lettera aperta a un giornale della sera" più che offrire una risposta ai quesiti interni alla sinistra intellettualoide, alla sua intellighenzia insomma, fa sorgere tante domande su quali siano davvero gli istinti che muovono certi fenomeni storici e quella partita di pallone finale, selvaggia e libera come solo il calcio giocato nei vicoli può esserlo, ne è davvero un simbolo quantomai riuscito».

The end: senza happy, ovviamente.

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