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«Giovani senza lavoro? Scuola e università lontane dalle imprese»

Il manager del Censis: «Il 37,6% dei ragazzi ha un impiego inferiore al titolo di studio»

Onofrio Lopez

L'Italia è un Paese particolare nel quale lo sviluppo segue percorsi spontanei e disomogenei. Questo «disordine creativo», però, impatta sul mercato del lavoro nel quale è sempre più evidente la discrasia tra domanda e offerta, soprattutto in termini di competenze. Ne abbiamo parlato con il responsabile area Politiche sociali del Censis, Francesco Maietta.

Dottor Maietta, il trend più recente delle dinamiche occupazionali indica una crescita dell'11,4% delle professioni intellettuali e del 10,2% per il comparto vendita e servizi nel periodo 2011-2016.

«È un trend di lungo periodo che riflette il cambio epocale dell'economia e del modo di produrre. Andiamo sempre più verso un'economia dei servizi e una polarizzazione del mercato del lavoro che penalizza le attività lavorative medio-basse e le categorie sociali che erano state fondamentali in un'epoca passata come operai e artigiani. Tutto questo si inserisce in un processo sociale più ampio: l'erosione del ceto medio».

Il rapporto Censis evidenzia anche l'incremento dell'11,4% degli addetti alla consegna merci, fenomeno che viene sintetizzato come affermazione della delivery economy.

«Potremmo interpretarla come una buona notizia: pian piano si vanno creando nuove figure professionali che, ovviamente, devono avere il giusto riconoscimento retributivo e di tutele».

Il 10,5% dei giovani è occupato in professioni non qualificate. È colpa della formazione?

«In primo luogo, questa generazione pesa numericamente meno delle generazioni che l'hanno preceduta. C'è, inoltre, un problema di scarto tra la qualifica di coloro che entrano nel mondo del lavoro e la collocazione che riescono a trovare. È un problema speculare rispetto alla domanda insoddisfatta di capitale umano qualificato che proviene dalle imprese. I giovani pagano queste contraddizioni».

Sarebbe il caso di ripensare la scuola e l'università?

«Il rapporto Censis si è concentrato sulla relazione tra titolo di studio e lavoro. Il 37,6% degli occupati tra 25 e 34 anni ha un impiego che richiede un grado di istruzione inferiore a quello conseguito. È una contraddizione che vive anche la nostra università. È stata mortificata l'offerta formativa con una miriade di corsi che non sono focalizzati sulle esigenze delle imprese».

I giovani, però, rischiano di restare intrappolati.

«In altri tempi esisteva un meccanismo di mobilità sociale fondata sulla mobilità lavorativa. Oggi invece ci si muove in orizzontale: è bloccata la mobilità sociale, sono bloccati i percorsi di carriera».

Anche il tasso di occupazione femminile, seppur in aumento, ha un divario di 18 punti percentuali con quello maschile».

«L'altro aspetto è che esse tendono a svolgere forme di lavoro meno stabilizzate come i part time perché le donne svolgono un ruolo sociale fondamentale sopperendo alle carenze del welfare pubblico in termini di assistenza ai non autosufficienti come i bambini. Ecco perché nutriamo la speranza che il welfare aziendale sostenga le famiglie con figli, aiutandole a fronteggiare i bisogni dei minori perché c'è un vuoto evidente colmato dalle donne».

Che ruolo possono avere le agenzie per il lavoro nel superamento del mismatching tra la domanda e l'offerta di lavoro?

«Difficilmente si potrà superare il mismatch con dinamiche spontanee. Ci sono soggetti intermedi che possono dare un contributo ad accrescere la corrispondenza tra matrice della domanda e matrice dell'offerta. Sono aspetti su cui bisogna lavorare perché se molti ragazzi hanno un lavoro che non è in linea con i loro studi e le loro aspettative, bisogna contribuire a valorizzare il loro capitale culturale».

Un ostacolo è rappresentato anche dalla burocrazia che influisce negativamente sull'attuazione delle politiche per il lavoro.

«La forza spontanea dei soggetti economici è stata la caratteristica dello sviluppo italiano. Esistono tanti vincoli di tipo burocratico, ma la storia italiana ci insegna che la vitalità spontanea del sistema economico-sociale è stata in grado di promuovere uno sviluppo dal basso coinvolgendo milioni di persone.

Il rapporto Censis indica che anche chi ha responsabilità politica deve puntare sulla fiducia in questa vitalità del sistema».

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