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Giustizia: niente prove su Del Turco? Quel pm dovrebbe pagare

Scandalo cliniche in Abruzzo, per il procuratore di Pescara c’era "una valanga" di elementi, ma in 18 mesi non si è trovato nulla. Sarà difficile risarcire chi è stato arrestato

Giustizia: niente prove 
su Del Turco? 
Quel pm dovrebbe pagare

Dopo le ultime sconcertanti rivelazioni relative alla inchiesta sulla malasanità in Abruzzo, capisco la soddisfazione di Ottaviano Del Turco che, mentre ricorda l’assoluta latitanza dei suoi compagni del Pd e sottolinea la meschinità di Veltroni, ci tiene a ricordare «le parole di solidarietà di Berlusconi», e una bellissima telefonata che gli fece Cossiga. Non pretendo la riconoscenza e neppure l’amicizia, ma Del Turco dimentica che, all’indomani dell’arresto, il primo a manifestare l’assoluta convinzione sulla sua onestà, per prova ontologica, e a rilevare la grossolana infondatezza delle accuse, fui io, su questo giornale. Nonostante questa distrazione, ho goduto con lui alla prima avvisaglia della eccezionale bufala della magistratura di Pescara, riportata dal Giornale. In sostanza, non le tesi della difesa del malcapitato presidente, ma quattro rapporti, uno dei carabinieri, uno della Guardia di finanza, e due della Banca d’Italia scagionano Del Turco e la sua giunta, accrescendo il turbamento di un uomo che ha sempre avuto fiducia nella giustizia, l’ex assessore di Pescara, Marco Alessandrini, figlio del procuratore Emilio, ucciso da Prima Linea. Con stupore Alessandrini conclude: «Il rapporto dei carabinieri offre un punto di vista diametralmente opposto a quello cristallizzato negli arresti». Sostanzialmente il 16 giugno 2008, solo un mese prima degli arresti di Del Turco, i carabinieri del Nas documentavano di aver riscontrato una serie di truffe ai danni della Regione nei conti delle cliniche convenzionate di Vincenzo Angelini, l’accusatore. Reati tanto gravi da consigliare l’arresto di Angelini. La causa del «pentimento» del quale, con la messinscena, non documentata, delle mazzette a Del Turco, sarebbe stata nella determinazione della giunta abruzzese di tagliare i fondi destinati alle cliniche di Angelini, per la loro gestione troppo «allegra», con una riduzione di circa 43 milioni di euro, quattro volte di più dei tagli disposti dalla precedente giunta di centrodestra. Come io sospettavo, dunque, conoscendo Angelini: una ritorsione, una vendetta. E una mossa d’anticipo per evitare gli arresti. Naturalmente, la morale della vicenda non è nella sventura toccata a Del Turco, e neppure nella pesante ingerenza della magistratura nella politica, con la conseguenza di determinare nuove elezioni e di ribaltare, attraverso la diffamazione, il risultato politico; ma nella straordinaria leggerezza della procura di Pescara. Al di là di tutto, ed essendo tutto giusto e vero, ciò che sconcerta e che dovrebbe far riflettere anche gli esponenti latitanti del Pd (non pretendo i Travaglio e i Di Pietro che aggrediscono Violante per il suo revisionismo) è la stolida sicurezza del procuratore capo Nicola Trifuoggi, persona all’apparenza gentile, misurata ed educata, quindi credibile che, in una non necessaria conferenza stampa, dichiarò: «Vi assicuro: tutti gli indagati sono schiacciati da una valanga di prove» e ancora: «Credetemi: stavano letteralmente distruggendo la sanità abruzzese». Affermazioni precise, forti, e decisive con in due verbi intensivi: «Vi assicuro», «credetemi».
A distanza di 18 mesi non è emersa una prova, della valanga annunciata, e i carabinieri documentano l’opposto di quanto ha affermato il procuratore Trifuoggi. Risulta che la Procura, nonostante la sicumera, abbia chiesto, per due volte, la proroga delle indagini e abbia disposto oltre 100 rogatorie internazionali alla ricerca di conti esteri, senza nessun risultato. In compenso, la Guardia di finanza ha riscontrato movimentazioni sospette di danaro, estero su estero, da parte di Angelini. Ci si chiede: perché Trifuoggi ha chiesto l’arresto di Del Turco e non di Angelini? Come si può distruggere un uomo, trattarlo da ladro, macchiarne, con l’infamia, tutta la carriera, di sindacalista, di ministro, di presidente della Commissione Antimafia, sulla base delle dichiarazioni di un imprenditore interessato, e senza una sola prova certa? Da anni, io combatto non la magistratura, ma la forza dirompente della diffamazione in nome del popolo italiano, non per un astratto errore della giustizia, ma per la vanità, la presunzione, l’insufficienza di rigore, la leggerezza di uomini che hanno un potere senza paragone. E che sbagliano per i loro limiti. Un medico che sbaglia - lo vediamo nelle recenti inchieste sulla sanità - paga per la sua incapacità. Nel mio stesso campo molti professori non vedono, non capiscono i quadri e i loro errori vengono prontamente smascherati. Nel sacro recinto della Giustizia non si contempla l’errore per incapacità, per pregiudizio, per arroganza. Se le presunzioni di Trifuoggi dovessero rivelarsi totalmente infondate, non pagherà Trifuoggi. Pagherà lo Stato, cioè noi, a Del Turco, un risarcimento comunque inadeguato a restituirgli dignità, ruolo, onore. Una anomalia. Una grave anomalia. Perché l’errore non è colpa della magistratura, ma del solo Trifuoggi.
E se egli ha disposto l’arresto di Del Turco per un fatto inesistente, con grave danno, non solo per Del Turco e per la verità, ma per tutti gli abitanti dell’Abruzzo, che hanno perso un presidente onesto, e anche per i numerosi elettori del Pd, sconcertati e sfiduciati per la asserita disonestà di un importante politico di sinistra, perché non dovrà pagare per il suo solitario errore, oggi che smentito da carabinieri e finanzieri con questa «valanga» di danni, determinati dalla leggerezza e dalla insufficienza della inchiesta, non meriterebbe di essere arrestato, oltre che sospeso? E disabilitato, come è stato Del Turco, perdendo la funzione? Non è più grave il reato di Trifuoggi di quello, inesistente, di Del Turco? Invece il politico è stato arrestato, esautorato, umiliato, e il magistrato continua a sostenere la sua accusa senza prove, non ci dà elementi corrispondenti ai suoi «vi assicuro», «credetemi». Resta lì nel suo ruolo di procuratore, pronto ad altre inchieste, ad altre accuse, con le stesse incrollabili certezze. E senza escludere altre vittime nel suo metodo. Che, alla luce dei rapporti di carabinieri e Finanza, appare: «Lasciare liberi i mascalzoni, i ladri, trasformandoli in eroi; e arrestare gli innocenti, trasformandoli in criminali». Riflettano Bersani e gli uomini del Pd, a partire da Marini (che oggi, tardivamente, difende Del Turco), dovendo procedere alla riforma della giustizia. Inizino con il restituire l’onore agli onesti. E rispondano a un potere cieco, rappresentato da un solo uomo, contrapponendogli l’autonomia della politica come giudizio del popolo.

La strada c’è, gli stessi radicali dovranno seguirla: candidare Del Turco presidente della Regione Lazio.

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