Controcultura

Le "Good girls", brave ragazze ma da buttare

Good Girls è la nuova serie disponibile su Netflix

Le "Good girls", brave ragazze ma da buttare

Sono tre brave ragazze perché nonostante rapinino un supermercato, il che non sarebbe comunque legale, avrebbero le loro giuste motivazioni, dunque se non assolverle almeno ce le prendiamo in simpatia.

Good Girls, da alcuni giorni su Netflix, è la prima stagione di una nuova serie in otto episodi più un pilot, che riprende lo stereotipo della donna costretta a ribellarsi per il peso e l'ingiustizia della società. Un tema piuttosto battuto dalla tv americana, non a caso l'ideatrice Jenna Bans aveva lavorato alla sceneggiatura di Desperate Housewives. Beth (Christina Hendricks) è una bella quarantenne con quattro figli e un marito scemo, che oltre a tradirla con un'aspirante attrice di spot commerciali, ha sbagliato tutti gli investimenti e sta affogando in un mare di debiti. Sua sorella Ruby (Retta) combatte una strenua battaglia per l'affidamento della figlia, il cui tipo fisico è modellato su Shiloh, rampolla no gender di Brad Pitt Angelina Jolie. Fa la commessa e ha un tatuaggio sul fondoschiena, ma i tatuaggi sono vivamente sconsigliati ai rapinatori. Annie (Mae Whitman) è una tonda signora di colore, sposa felice non fosse per la malattia della piccola figlia in attesa di un trapianto di rene. Non ci sono abbastanza soldi per operarla secondo il cinico sistema assistenziale americano.

Se i denari non ci sono, vanno recuperati in ogni modo. La sit-com comica e sarcastica, che ironizza sul sesso e sulla famiglia, prende di mira i modelli consunti e falsi della famiglia felice, si sfoga contro il sistema maschilista arrivando persino a citare Thelma & Louise, trasformandosi, di episodio in episodio, in commedia nera con risvolti thriller.

Un prodotto di genere neppure così male, anche se fortemente ancorato su quegli stereotipi americani così trash che noi europei stentiamo a capire fino in fondo. Good Girls strappa sorrisi e si fa seguire, ma c'è un ma: l'immagine della donna ne esce, se non devastata, almeno compromessa. Brave ragazze che per resistere sono costrette a inseguire il maschio nel territorio dove è padrone assoluto: la stupidità. E quando tre donne vogliono essere peggio dei colleghi uomini non c'è partita, vincono loro.

Non un discorso degno di essere seguito, non uno scambio di battute che si elevi dalla più inutile medietà. Argomenti: le corna, la depilazione vaginale, la triste realtà della coppia, ex mariti bastardi e nulla più. Non un libro, un film, neppure una ricetta che ne riveli un qualche tratto distintivo particolare. Non ci saremmo aspettati personaggi con caratteri alla Gertrude Stein, Virginia Woolf, ci saremmo persino accontentati di una copia di Michelle Obama e invece nulla. Le tre Good Girls sono talmente vuote e superficiali da giustificarne gli abbandoni, a parte la Madre Coraggio che, per convenzione politicamene corretta, non può non essere nera.

Cercasi modelli femminili migliori.

Speriamo ne escano da qualche parte, nella mente di uno sceneggiatore illuminato e coraggioso.

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