La gravidanza isterica di Quercia e Dl

Arturo Diaconale

Buffa discussione quella in atto sul futuro Partito democratico. I discendenti della vecchia sinistra Dc presenti nella Margherita, che pure si propongono come i più convinti sostenitori della necessità di superare le attuali formazioni politiche per arrivare alla formazione del partito unitario del centro sinistra, hanno organizzato un convegno a Chianciano per ribadire che difenderanno con le unghie e con i denti la propria identità di cattolici democratici. E non confluiranno mai in un partito intenzionato ad entrare nell’Internazionale Socialista. A loro volta gli eredi della sinistra socialista e socialdemocratica ma, soprattutto, gli ex comunisti divenuti nel frattempo diessini non perdono occasione per far capire che il loro intento non è di morire post-democristiani, ma di dare vita ad un partito socialdemocratico di massa sull’esempio della grande tradizione del socialismo europeo.
In mezzo (ma l’ambizione sarebbe quella di stare ben al di sopra dei due raggruppamenti alternativi) ci sono poi quelli che considerano la nascita del Partito democratico come il momento del superamento sia della tradizione dei cattolici democratici, sia di quella dei socialisti. E che sognano una sorta di Araba Fenice che sorga dalle ceneri di due filoni politici morti e sepolti nel secolo scorso e rappresenti una formazione politica integralmente nuova. Romano Prodi, che al seminario sul Partito Democratico di Orvieto ha tentato di mettere insieme tutti, sa bene che il processo di unificazione è lungo e la strada tutta in salita.
La singolarità della discussione non è la sua asprezza (chi litiga così intensamente come farà mai a ritrovarsi in un unico partito?), e neppure la sua astrattezza (la verifica del sesso degli angeli è un argomento più concreto di quello del confronto tra i modelli cattolicodemocratico e socialdemocratico). È nel totale distacco degli interessati dal contesto politico presente.
Mi spiego. Il tratto distintivo del futuro Partito democratico dovrebbe essere la sua capacità di rappresentare le istanze riformiste delle due tradizioni politiche destinate ad intrecciarsi. Senza i valori del riformismo come massimo comune denominatore delle due esperienze non sarebbe possibile neppure immaginare la nascita della futura formazione politica. Più che pensare ai modelli astratti, dunque, i fautori del Partito democratico si dovrebbero preoccupare di definire i contenuti concreti del messaggio riformista. Quelli legati alla realtà presente del paese. Quelli da contrapporre non solo ai valori liberali e liberisti degli avversari del centrodestra ma alle istanze massimaliste degli alleati della sinistra radicale.
Da questo punto di vista il varo della legge finanziaria da parte del governo di centrosinistra avrebbe dovuto fare da levatrice materiale del Partito democratico. I riformisti di area cattolica e socialdemocratica avevano l’occasione concreta di dimostrare il peso e la validità delle proprie posizioni esibendole e confrontandole con quelle dei partiti della sinistra più estremista. Se la Finanziaria avesse avuto uno «spirito riformista» il Partito democratico avrebbe concretamente visto la luce spazzando via tutte le discussioni nominalistiche ed astratte che ne frenano la nascita. Invece la sinistra radicale, approfittando della totale passività delle componenti riformiste, è riuscita ad imporre alla Finanziaria uno «spirito» apertamente massimalista, ispirato alla vendetta sociale e all’odio di classe della più vieta tradizione marxista.
Ed il Partito democratico? Non è neppure nato morto. Ma molto peggio. È il sintomo di una semplice gravidanza isterica.

Non esiste.

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