Controcultura

La guerra infinita dei Guns N'Roses tra droghe, litigi e incassi stellari

In 83mila a Imola per il concerto della reunion. Probabile il ritorno in un grande stadio italiano l'anno prossimo. Le vere leggende musicali resistono al tempo

La guerra infinita dei Guns N'Roses tra droghe, litigi e incassi stellari

Dal nostro inviato a Imola

In effetti quando Axl Rose arriva sul palco c'è un brivido tra gli ottantatremila davanti al palco. L'araba fenice del rock. Il cantante più misterioso della storia. Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola. È il concerto italiano della reunion dei Guns N'Roses con i tre padri (quasi) fondatori: oltre ad Axl, anche Slash e Duff McKagan. Insieme valgono oltre cento milioni di dischi venduti e innumerevoli leggende. Per una di queste, al culmine della fama, il loro vero nome era Lines n' Noses, linee e nasi, in ossequio all'abuso di cocaina. Sono esplosi nel 1993 dopo il tour più lungo e ricco della storia (192 concerti di seguito in 27 nazioni) e poi sono rimasti nella nebulosa delle incompiute. Una band superlativa dilaniata dall'egoismo. Un mistero da romanzo. Droga, litigi, sparizioni, arresti. E infine processi, tanti processi per diritti d'autore e contratti vari mantenuti, violati o dimenticati. Poi, si sa, il tempo rimargina le ferite, e le rughe fanno tornare la voglia di essere giovani. It's so easy, è così facile, come il titolo del primo brano in scaletta ieri sera (da Appetite for destruction del 1987, il disco di debutto più venduto della storia). Axl Rose non è più - e ci mancherebbe - quel levriero con la voce da tigre ferita che lo rese un sex symbol planetario, anzi. Ha 55 anni molto, ma molto, vissuti, non ha abbondato in chirurgia estetica e in beauty farm e la sua voce ha letteralmente perso i toni medi. Convincente sugli acuti, ancora sensuale sui bassi ma difficilmente decifrabile nel resto. Dopotutto, con un repertorio che comprende brani come Welcome to the jungle o Mr Brownstone, è difficile mantenere le stesse tonalità aspre e selvatiche. Perciò certe volte, come nella cover di Live and Let die degli Wings di Paul McCartney, delude. Ma in classici come You could be mine e Sweet child o' mine è l'Axl Rose che ti aspetti, ringhia come si deve e si muove esattamente come allora, corre, dimena il bacino alla sua maniera e digrigna i denti nello sforzo tipico di chi sta sudando l'anima davanti a una folla oceanica. E poi c'è la band. Su di un palco essenziale, anzi proprio vecchia maniera senza effetti speciali (un videowall alle spalle e due megaschermi ai lati di un palco che ha un muro di amplificatori Marshall), ci sono il chitarrista Slash e il bassista Duff McKagan oltre ai nuovi componenti di questa formazione. Il primo un po' consumato dagli eccessi e dagli scompensi cardiaci ma sempre protetto dalla sua tuba nera sopra i riccioli immensi. L'altro magrissimo, iper tatuato, molto agile a borso del suo basso bianco e scrostato dal tempo. Sono loro, i «vecchi», a essere quasi sempre inquadrati sui megaschermi. E sono loro a tenere in piedi la macchina della band. Impeccabile sulle ritmiche. E molto «gregari» nel dilatare i tempi dello show per consentire ad Axl di rifiatare e, addirittura, di cambiarsi d'abito. Dopotutto la scaletta è più o meno simile a quella del tour europeo iniziato allo Slane Castle irlandese e benedetto non solo dagli incassi (118 date nel mondo con 230 milioni di dollari di incasso) ma, a dispetto di tanta critica snob, da molte recensioni positive. In fondo, signore e signori, un repertorio così ha segnato una generazione e brani come Paradise city che, come sempre arriva per ultima, oppure November Rain e Civil War con quel fischio morriconiano molto prima di LP, rimarrano per sempre nelle fotografie di vita di milioni di persone. Le stesse che ieri sera, indossate di nuovo le t shirt con il logo Guns N'Roses, si sono ripresentate a Imola e hanno superato le imponenti misure di sicurezza. Ma non solo loro. Davanti ad Axl c'erano anche tanti ragazzini che manco erano nati 30 anni fa quando lui, scorbutico nomade da Lafayette Indiana, viveva ai margini di Los Angeles sognando di diventare una rockstar.

Ieri sera c'erano anche loro a cantare November rain seguendo la chitarra di Slash, un coro dopo l'altro, un flash dopo l'altro, a conferma che i pezzi capaci di segnare un'epoca possono riaccendersi anche dopo, senza aver perso fascino neanche un po'.

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