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Guerra in Procura a suon di bombe

Reggio CalabriaAncora manca la prova decisiva che inchiodi chi piazzò la bomba davanti la Procura generale di Reggio Calabria all’alba del 3 gennaio scorso. Ma gli inquirenti puntano su quattro nomi, giovani leve della cosca Serraino, ieri duramente colpita da un’operazione dei Carabinieri del Comando provinciale e del Ros che ha portato in carcere ventidue esponenti del clan, accusati di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamenti, minacce, detenzione di armi. Tra loro ci sono anche i quattro sospettati dell’attentato. Nell’abitazione di uno di loro, i carabinieri hanno trovato il motociclo Honda Sh300, di uguale marca, modello e colore di quello usato per depositare la bombola esplosiva davanti la Procura generale. La scena è stata ripresa da una videocamera di sorveglianza: i volti dei due attentatori non si vedono, ma uno potrebbe essere proprio Lavena, che disponeva del motociclo intestato alla mamma della fidanzata. Il commando lo usava soprattutto quando bruciava negozi e piazzava bombe, alcune molto simili a quella fatta esplodere davanti la Procura a poco più di un mese dall’insediamento del nuovo Procuratore generale, Salvatore Di Ladro.
Il movente dell’attentato è ancora oscuro. I procuratori di Reggio Calabria e Catanzaro, ieri in conferenza stampa, lo hanno ribadito a chiare lettere. Certi, però, sono i collegamenti tra esponenti del clan Serraino e alcuni imputati di un processo che si è concluso in marzo e sul quale, sin dal giorno dell’attentato, si sono focalizzate le attenzioni degli inquirenti. Si tratta del processo d’appello per l’omicidio di Luigi Rende, una giovane guardia giurata uccisa durante una rapina a un ufficio postale. Uno dei rapinatori, Marco Marino, condannato all’ergastolo, risultò legato ai Serraino. E lo difendeva l’avvocato Lorenzo Gatto, uno dei maggiori penalisti reggini, che difendeva anche il sostituto procuratore generale Francesco Neri in alcuni procedimenti disciplinari avviati a carico del magistrato. Gatto e Neri si ritrovarono uno di fronte l’altro nel processo Rende, in Corte d’assise d’appello, creando un fortissimo imbarazzo nella stessa Procura generale e nel nuovo procuratore Di Landro. La questione si risolse con la sostituzione di Neri in quel processo e il suo successivo trasferimento da parte del Csm, per incompatibilità ambientale.
Insomma, l’attentato sarebbe il frutto della reazione della cosca Serraino alla sostituzione di Neri in quel processo. Ma il perché la cosca Serraino si sentisse maggiormente garantita dalla presenza, in qualità di pubblico accusatore, Neri rispetto a un altro magistrato non è stato chiarito.
Neri è lo stesso magistrato al centro di alcuni casi che testimoniano il clima di tensione e di intromissioni esterne che caratterizzavano la Procura generale nel prima Di Landro. Due anni dopo il ritrovamento di una microspia nell’ufficio di Nicola Gratteri, Neri decise di chiedere la bonifica del suo ufficio. I Ros dei Carabinieri non trovarono nulla. Ma poi lo stesso sostituto Pg chiamò una ditta esterna che stavolta rinvenne una microspia. A Neri è stata anche contestata l’avocazione del procedimento penale a carico dell’ex consigliere regionale del Pdl Alberto Sarra, avocazione successivamente annullata dalla Corte di Cassazione. «Col procuratore Di Landro non ho mai avuto alcun contrasto. Mi vedo coinvolto in una situazione in cui mi ritengo assolutamente incolpevole», spiegava ieri alle agenzie Neri, che attualmente è consigliere presso la Corte d’Appello di Roma.


Il magistrato ha anche reso noto di avere presentato ricorso alla Corte di cassazione contro la decisione del Csm di trasferirlo da Reggio Calabria per incompatibilità ambientale.

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