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Hillary vince e alza la posta con Obama

da Washington

E se una vittoria diventasse una palla al piede del vincitore? Non solo nelle relazioni internazionali (dove succede fin troppo speso), ma, a volte, anche nell’arena politica. Tutti sapevano che Hillary Clinton avrebbe vinto in West Virginia. Faceva parte di uno scenario quasi prefabbricato che include un altro suo primo posto martedì nel Kentucky bilanciato da una vittoria di Obama nell’Oregon e poi North Dakota a lui, Portorico a lei, Montana a lui, sostanziale pari e patta negli Stati, mentre coloro che contano, i superdelegati piegano a poco a poco la bilancia dalla parte di Barack Obama. Solo che Hillary ha esagerato in West Virginia, infliggendo il 40% di distacco a un avversario che aveva in pratica disertato la gara. Ha potuto e dovuto gioire per il trionfo ma ciò la ostacola nel caso, considerato probabile dai più, che ella persegua la strategia di sganciamento graduale che duri fino a giugno e finisca in un abbraccio nel nome dell’unità del partito.
Il risultato aizzerà invece gli istinti di Hillary e Bill Clinton, che nella loro carriera non si sono mai arresi e non hanno mai rifuggito dai colpi bassi. Una «ricostruzione» dovrà almeno sembrare che le sia stata imposta dalle circostanze. Oggi, magari per qualche ora soltanto, questo è più difficile, perché ripropone la «strategia delle aree chiave» formulata da Hillary o per Hillary, secondo cui essere forti in uno Stato normalmente repubblicano conta il doppio che esserlo in uno tradizionalmente democratico: Pennsylvania ieri, West Virginia oggi, Kentucky domani sembrano costruiti apposta per dimostrare la fondatezza di tale assioma, per incoraggiare la Clinton a battersi fino all’«ultima raffica» e per mettere in allarme Obama.
Invece Obama non pare preoccupato per nulla. Sente invece di potersi permettere di essere generoso e di congratularsi con la rivale ogni volta che quella vince, conquistandosi così il diritto da galateo a sentirsi rispondere in toni consimili. Dal podio della West Virginia Hillary ha per la prima volta promesso che se Obama sarà il candidato democratico lei lo appoggerà in pieno, il che lascia libero Barack, da alcuni giorni, di sparare tutte le sue cartucce contro McCain. Nel quartiere generale democratico l’ansia permane e pure l’ottimismo cresce. Alimentato da sondaggi, dati e deduzioni. Gli ultimi poll nazionali (Abc e Newsweek) contrastano con le impressioni degli esperti e danno entrambi i candidati democratici davanti a McCain, sia pure di strettissima misura: Obama col 47 contro il 44%, la Clinton col 48 contro il 45. Contemporaneamente si è svolta martedì una elezione «vera» per un seggio alla Camera di Washington nel Mississippi, uno degli Stati più conservatori dell’Unione, e ha vinto il candidato democratico, nonostante che i repubblicani, guidati personalmente dal vicepresidente Cheney, avessero cercato di incollargli addosso il ritratto politico di Obama.

È riuscito invece il gioco dei democratici di incollare il candidato repubblicano a Bush.

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