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"Ho fatto mangiare i Papi. I dolci portano all'estasi"

Il pasticciere della "Prova del cuoco" è il papà degli chef in tv: "Chi ama cibo e sesso sa godere al meglio i piaceri della vita. Lo zucchero regala felicità"

"Ho fatto mangiare i Papi. I dolci portano all'estasi"

Il pasticciere Salvatore (per gli amici, Sal) De Riso è come il profiterole: dolce ma forte. Provate voi infatti a creare un impero di creme e pan di Spagna partendo da zero. Sal non ha mai avuto santi in paradiso, in compenso gli ultimi tre Papi (Wojtyla, Ratzinger e Francesco) pare abbiano apprezzato i suoi omaggi. De Riso ha 50 anni e nel suo campo è considerato un fuoriclasse; una popolarità figlia anche della Tv che sulla faccia gustosa di Sal ha puntato dai primi anni '90, inaugurando il filone - ora divenuto insopportabilmente inflazionato - degli chef catodici. Antonella Clerici lo adora e da 14 anni se lo tiene stretto a «La prova del cuoco»; in precedenza, sempre per la Rai, ha infornato leccornie nel forno de «I fatti vostri» di Giancarlo Magalli. Per Rizzoli ha pubblicato Dolci del sole, un libro a metà tra biografia e ricettario che ha venduto 75mila copie. Soddisfazioni inimmaginabili quando 26 anni fa De Riso aprì il suo primo laboratorio a Minori (Salerno): una stanzetta di 25 metri quadrati, farcita solo di passione e ripiena unicamente di idee. Soldi pochi, entusiasmo tantissimo. Oggi Sal dà lavoro a 80 persone (30 nella sede storica di Minori e 50 nello stabilimento di Tramonti) e il suo nome è diventato un marchio di qualità che dall'eden della costiera amalfitana si estende al resto d'Italia e all'estero.

Gli ingredienti del boom? Tradizione mischiata a modernità. Del resto il ragazzo con le torte ci ha sempre saputo fare. Fin da piccolo, di notte se le sognava e di giorno le realizzava. Papà Antonio aveva una piccola tabaccheria, ma al giovane Sal le uniche sigarette che interessavano erano quelle di cioccolato. E fuma oggi e fuma domani, il laboratorio lillipuziano si è trasformato in una imponente fabbrica di bontà che ogni giorno offre un campionario illimitato di golose delizie.

Davanti alla pasticceria De Riso a Minori residenti e turisti fanno la fila: una fettina di burrosa adrenalina costa 4 euro (un po' di più se si sceglie il servizio ai tavolini del dehors). Gratis sono invece i selfie che Sal concede ai tanti fan che per lui vanno in brodo di giuggiole.

Un pasticciere trattato come una star. È vero o abbiamo le traveggole?

«È la realtà. Anche se sembra un bellissimo sogno».

Lei è abituato a montare la panna. Mai rischiato di montarsi la testa?

«No, resto genuino. Come i prodotti della mia terra e i volti delle persone che mi circondano».

Confessi: le piace usare la frusta davanti alle telecamere?

«Il piccolo schermo è un fantastico moltiplicatore di popolarità. Ma può anche essere pericolosissima».

In che senso?

«Un cuoco mediatico va sempre verificato professionalmente sul campo. Se non è all'altezza, il suo destino è sgonfiarsi come un soufflé riuscito male».

Mai avuto il timore che capitasse anche a lei?

«Per questo io mi rimetto in discussione ogni mattina. Se la gente venendo nella mia pasticceria non trovasse dolci adeguati alla mia fama, stia pur certo che i selfie non me li chiederebbe, andando via delusa».

Insomma, è la qualità del prodotto che deve supportare il volto televisivo. Non il contrario.

«Esattamente. Il pubblico che mi vede in Tv e poi viene in pasticceria è competente, preparato. Sarebbe perfettamente in grado di smascherare eventuali bluff. E io sento forte questa responsabilità».

Per questo, nonostante il successo, non si schioda mai dal laboratorio.

«Non posso tradire chi mi dà fiducia. Lavoro 7 giorni su 7 dalle sette di mattina all'una di notte».

Che esagerazione...

«Lo faccio per mantenere uno standard alto. E perché non mi stanco mai di inventare nuovi dolci. Ma pure tante sfiziosità salate».

Commercializza perfino profumi ispirati alle sue «creature», tipo «eau de sfogliatella». Non starà mica esagerando?

«L'essenza alla sfogliatella va fortissimo».

Eau de sfogliatella, per l'uomo che non deve chiedere mai. Non suona benissimo...

«Infatti la sfogliatella è un parfum pour femme».

Chiedo scusa. Quello alla ricotta e pere è invece una fragranza maschile?

«Diciamo unisex».

Cosa la ispira nella scelta degli odori?

«I viaggi, i pensieri, i panorami. Ma anche i racconti dei clienti che mi parlano dei loro paesi lontani».

L'invenzione di cui va più orgoglioso?

«Anno 1988: profiterole al limone».

Sarò all'antica, ma io lo preferisco al cioccolato.

«Assaggi il mio al limone di Amalfi, e poi ne riparliamo».

Perché ha scelto di fare il pasticciere invece dello chef tradizionale?

«Nei dolci c'è un mix di scienza, chimica, precisione (e al tempo stesso inventiva) che le altre branche della gastronomia hanno in misura inferiore».

Il momento più emozionante della sua vita?

«Era il 2000. Dovevo portare la Torta Giubileo a Papa Giovanni Paolo II. Quella mattina mia moglie mi porge un pacco e mi dice: È un regalo per te, aprilo. E io: Posso vederlo stasera, adesso sto andando dal Papa. Lei: No, scartalo ora. Lo apro e trovo un biberon. Mia moglie Anna era in attesa della primogenita Anastasia. Arrivai da Papa Wojtyla con le lacrime agli occhi. Gli raccontai l'episodio. Lui mi abbracciò commosso e mi fece gli auguri. Un'esperienza indimenticabile».

Passiamo a situazioni un po' più profane: la scrittrice cilena Isabel Allende ha scritto che «il dolce ha il compito di coronare l'orgia intima: pensa al mango flambé al rum o alla sfoglia di lamponi ricoperti di un vellutato strato di nocciola...».

«Sono d'accordo. Il rapporto tra cibo e sesso condensa al meglio lo stato dell'estasi. Quando ammiro la gente assaporare i miei dolci mi piace immaginarla composta da persone che sanno godere al meglio dei piaceri della vita».

Pure Antonella Clerici, quando lecca i suoi dolci alla «Prova del cuoco», ricorda un po' Meg Ryan che nel film «Harry ti presento Sally» simula l'orgasmo.

«Antonella non simula mai... lei è una donna realmente sensuale».

Le hanno mai proposto di fare il giudice in programmi tipo «Master chef»?

«È un format che non condivido, sebbene gli riconosca il merito di avvicinare il grande pubblico al mondo della cucina».

Cos'è che la irrita nei talent gastronomici?

«La falsa arroganza dei giudici».

Falsa?

«Le faccio un esempio: conosco Cracco personalmente. È una persona stupenda. Ma in Tv, per tenere fede a un format, deve fare a ogni costo il duro e lo sprezzante».

Si offende se la definiscono il boss delle torte italiano?

«Non mi offendo. Ma quello del boss delle torte è un altro format che non mi interessa».

Motivo?

«Noi in Italia amiamo le torte belle e buone. In America si accontentano di premiare più gli occhi che il palato».

Cosa pensa dei suoi colleghi che fanno gelati al gusto di baccalà o pasta e fagioli?

«Ma lei se lo leccherebbe un cono al gusto sugo di cinghiale? Io no».

Immagino che tra i suoi dipendenti ci sia il meglio uscito dalle scuole alberghiere.

«Immagina male. Ci sono soprattutto tanti giovani disoccupati. Li ho formati professionalmente trasformandoli in maestri pasticcieri. Sono loro i veri artefici del mio successo. Insieme a un'altra persona».

Cioè?

«Mia moglie. Faceva l'ostetrica. Ha abbandonato il suo lavoro per aiutarmi nell'impresa di famiglia. Io, per lei, sono un babà al limoncello. Lei, per me, è il dolce del sole».

Dolcissimamente innamorati. Occhio alla glicemia.

«A rovinare la salute sono le amarezze.

Lo zucchero regala solo benessere e felicità».

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