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"Ho raccolto la vita in un album Mia figlia Chiara mi ha copiato"

«Anche lei ha iniziato la carriera di web influencer con le foto Sono diventata scrittrice di noir perché in famiglia hanno insistito»

"Ho raccolto la vita in un album Mia figlia Chiara mi ha copiato"

Marina Di Guardo e le sue figlie, tutte e quattro bionde, magre, alte, belle. Una famiglia di donne. Spesso sui giornali, ancora di più sui social: la primogenita di Marina si chiama Chiara, di cognome Ferragni, web influencer di professione (9,4 milioni di follower), stato civile futura moglie di Fedez dopo dichiarazione sul palco; poi ci sono Valentina e Francesca, anche loro seguitissime su Instagram (la prima ha 1,2 milioni di follower, la seconda 250mila, ma fa la dentista...).

Allora nella vita Marina Di Guardo che cosa fa, monitora le sue «ragazze», come le chiama con orgoglio? No, scrive libri, e lo fa da qualche anno. Ha cominciato - spiega davanti a una spremuta in un bar in centro a Milano - raccontando la storia di un «trauma relazionale», pubblicata da «una piccola casa editrice, Nulla die, che ha creduto in me e nel mio lavoro». Quel primo libro l'ha scritto «un po' di getto, d'istinto»: «Non ho frequentato scuole di scrittura, nessuno mi ha dato consigli». Poi, altri quattro romanzi, nei quali Marina Di Guardo si è spostata sempre più verso il noir. E così è arrivata al quinto, Com'è giusto che sia, un thriller pubblicato a gennaio da Mondadori. Una storia di violenza, di vendetta, di madri e di figlie, di amori che non sono amori, ambientata «in una Milano livida, difficile, alienante».

Ma come ha iniziato a scrivere?

«L'ho sempre fatto, fin da bambina. In terza media hanno letto il mio tema davanti a tutta la classe: ho sentito l'emozione che danno le parole e ho pensato che fosse la cosa che amavo di più. Però poi ho seguito questa passione in modo discontinuo, privato».

Ha fatto altro.

«Mi sono sposata a 23 anni, poi sono nate le mie figlie, abitavo a Cremona e lavoravo a Milano. Facevo la pendolare. Avevo poco tempo».

È nata a Cremona?

«No, i miei sono di origini siciliane, catanesi. Dopo la laurea in medicina, mio padre si è spostato al Nord e noi ci siamo trasferiti spesso, per seguire la sua carriera. Ma mi sono sposata con un cremonese, il mio ex marito... Ci siamo incontrati proprio su un treno, quando facevo la pendolare».

Lui che lavoro faceva?

«Il dentista. Poi a un certo punto sono state le mie ragazze a spronarmi. Mi hanno detto: se hai questo sogno di scrivere, prova a crederci, a farlo in modo serio. In quel periodo cominciavano anche a sganciarsi, Chiara era già indipendente e lavorava, Valentina e Francesca erano all'università».

Nel suo thriller mostra una certa fantasia per i delitti.

«Sono fantasiosissima, sì. Il mio compagno è preoccupato... Da spettatrice e lettrice di noir tengo molto che tutto torni, come un meccanismo; e che il finale sia sorprendente».

Oltre che di noir sembra appassionata anche di psicologia.

«Il discorso psicologico per me è molto importante. Sono stata io stessa in analisi per diversi anni e credo di avere imparato molto, sull'andare in profondità nell'animo umano. E credo che, per il lettore, sia un elemento in più: perché sente più veri, e verosimili, i personaggi».

Le donne sono forti, gli uomini...

«...ne escono con le ossa polverizzate. Però non tutti, l'ispettore per esempio no, e neanche il suo vice. Loro emergono positivamente, sono un po' gli eroi del nostro tempo: ricercano il buono. È un certo tipo d'uomo che non ne esce bene, quello che ha un atteggiamento di violenza e sopraffazione verso le donne, purtroppo».

Perché ha scelto un tema così duro?

«Ho avuto amiche che hanno vissuto storie difficili e hanno subito violenza, sia fisica sia psicologica. Entrambe devastanti. E poi ero indignata: basta aprire un giornale o accendere la televisione per sentire casi di donne uccise, sfregiate, violentate. Volevo dare uno spunto, e anche un senso di sana rabbia».

Dalia, la protagonista, è una specie di «angelo vendicatore».

«Certo, la mia è una eroina negativa, non è un esempio da emulare, però è giusto ribellarsi a certe situazioni. Lei non è più passiva, è parte attiva. Spesso le donne non hanno né i mezzi, né il rispetto di sé stesse per reagire».

Perché secondo lei?

«In famiglia servono attenzione e rispetto. Una bambina deve sentire l'importanza di quello che è, della sua unicità. Se, in famiglia, una bambina si sente accettata e valorizzata, da adulta non potrà accettare quei comportamenti da parte degli uomini. È dalle famiglie che bisogna cominciare».

Al cuore del romanzo c'è un rapporto madre-figlia quasi a ruoli invertiti.

«Quello fra Maria e sua figlia Dalia è un rapporto tossico: Maria diventa la figlia di sua figlia, fra loro si crea una dipendenza estrema».

Ha analizzato anche la sua esperienza, mentre ne scriveva?

«Credo che il rapporto tra madre e figlia sia uno dei più difficili. Basta poco per guastarlo e creare incomprensioni o problemi per anni».

Lei come si è regolata con tre figlie femmine?

«Ho cercato di fare tesoro anche di alcune sofferenze della mia infanzia e del rapporto coi miei genitori. C'è qualcosa di irrisolto che mi porto dietro; ho cercato di capire almeno dove non sbagliare».

A che cosa si riferisce?

«I miei genitori, e soprattutto mio padre, davano poca importanza a me, perché ero femmina. Sono la primogenita, quando sono nata mio padre ha detto: Bi, fimmina è. Poi è stato ricompensato da tre maschi...».

Non voleva una femmina?

«Mi sono sentita una bambina invisibile. Quella al traino, incolore. Ero quella che alla fine, se non riusciva, pazienza. Ho pensato che con le mie figlie avrei dovuto fare il contrario: dare loro importanza e fiducia, fare in modo che non si autoimpongano dei limiti: perché dare dei limiti alle loro possibilità?».

Le ha spronate?

«Qualche volta magari una delle tre mi diceva: Mamma, non ce la farò mai. E io: Ma perché devi dirti questo? Niente è impossibile».

Ha funzionato?

«Non è facile. Litighiamo, abbiamo tutte un carattere forte. A volte è una battaglia. E poi vorrei sempre essere informata dei loro spostamenti, di quello che succede. Sono un po' rompipalle».

Perché è rompipalle?

«Le chiamo. Se non rispondono, insisto: magari sono dall'altra parte del mondo...».

È ansiosa?

«Molto ansiosa. La mania del controllo un po' ce l'ho. Di solito le chiamo ogni sera, alle otto. Però credo siano contente, perché sentono attenzione su di loro».

Pensa di avere influenzato le sue figlie nelle loro passioni, per esempio la moda?

«Da quando mi sono sposata ho tenuto degli album in cui ho conservato ogni loro progresso, festina, gita: ho documentato la loro vita in modo puntuale. Credo che questo abbia influenzato Chiara, quando ha iniziato, con le sue foto su Flickr. Certo sono stata sempre attenta anche ai dettagli, alla moda. Ho lavorato per anni nel settore, ero vicedirettore dello showroom Blumarine a Milano. E sono molto organizzata: ecco, Chiara ha una testa che è un computer, non dimentica niente».

Sua figlia ha avuto un successo mondiale come web influencer: dica la verità, all'inizio capiva che cosa facesse?

«Ma no. Aveva messo le foto su Flickr, ha visto che avevano tante visualizzazioni e si è detta: proviamo a guadagnarci qualcosa. Poi ha aperto il suo blog, che è diventato importante e seguito».

E quando si è trasferita a Los Angeles?

«Eh insomma, non ero contentissima. Ma una mamma deve solo accettare, e incoraggiare. Comunque siamo state tutte insieme da lei, a Natale, per una settimana».

Certo, quella dello scherzo del test di gravidanza, che è diventato un tormentone sul web. Ma non vorrebbe diventare nonna?

«Ma certo. L'età di Chiara è quella giusta, sarei felicissima».

Che cosa ne pensa dei social?

«Non ero iscritta a nessun social prima di scrivere il mio primo libro. Se usati bene sono qualcosa di positivo e utile: per esempio per il contatto con i lettori».

Ma non era preoccupata per le sue figlie, che sono così «esposte»?

«Certo. Però fino a una certa età non li hanno mai usati, fino a 15 anni non hanno mai neanche avuto il cellulare. Sono una mamma molto severa».

E gli haters, coloro che riversano odio e critiche sul web? Non le facevano paura?

«Ho temuto, molto. Per un certo periodo avevo consigliato a Chiara prudenza e una esposizione minore. Ma ho capito che lei è assolutamente in grado di gestire questi problemi; e poi, quando sei sotto i riflettori, è inevitabile non piacere a tutti. Devi accettarlo».

Non è mai stufa? Tutte quelle foto, momento per momento. Non le dà la sensazione che sia un po' finto?

«Sì, me la dà questa sensazione, a volte. Ma ormai vale per tutti noi: mangi una pizza, scatti la foto, la metti on line. È l'epoca in cui dobbiamo ostentare. Lo fanno tutti: le mie ragazze sono figlie del loro tempo. E poi sono scelte loro».

Contano anche le logiche di marketing?

«Certo, anche se Chiara e Valentina non vogliono rinunciare alla spontaneità: se fossero finte, costruite, chi le segue se ne accorgerebbe subito».

Tre figlie, tre fidanzati. È felice?

«La prima cosa è che siano felici loro, che siano contente delle loro scelte, poi a me va bene tutto. Però vado d'accordo con tutti e tre».

E Fedez, il più famoso dei tre?

«È un ragazzo in gambissima, si è fatto da solo, ha sofferto e ha saputo superare qualsiasi esperienza negativa, affermando se stesso e il suo valore. Da parte mia, grande stima e incoraggiamento».

C'è solidarietà fra voi donne della famiglia?

«Sì, grandissima. E anche fra le mie ragazze: ne sono molto orgogliosa. Credo dipenda dal fatto che, come genitori, una delle priorità sia stata non fare preferenze: si sentono tutte sullo stesso piano, perciò non ci sono invidie né gelosie. Per me era importantissimo».

Non vorrebbe mai tornare a occuparsi di moda?

«Ho lasciato il lavoro dopo la nascita di Valentina, perché è nata prematura, a sei mesi e mezzo. Avevo già due figlie, non riuscivo a fare avanti e indietro da Cremona a Milano tutti i giorni, con certi orari... Però no, non ci penso più. Mi piaceva, ma scrivere mi fa sentire me stessa, sono felicissima di poterlo fare».

Che cosa dicono le sue figlie dei suoi libri?

«Sono le mie prime lettrici. Appena finisco un romanzo, loro mi danno le loro opinioni e il placet. Sto già scrivendo il prossimo, sempre un thriller».

Ma i media le piacciono, alla fine?

«Penso sia giusto, ma anche facile, criticarli. Per esempio nel libro cito le trasmissioni di cronaca nera: io le seguo, per esempio Chi l'ha visto?.

Si può davvero guardare il male in faccia: non è fiction, è pura realtà, e a volte la realtà supera la più crudele trama di fiction».

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