Cronaca locale

I clan a Milano, affari antichi nella città dei soldi

(...) e incondizionata fiducia nell’esposizione internazionale meneghina) siano totalmente estranei ai fatti che gli vengono addebitati non si può non prendere atto della realtà: la criminalità organizzata è sbarcata in grande stile nella nostra città. Una specie di spedizione dei Mille alla rovescia, un tentativo di unire l’Italia nel malaffare.
Ma è inutile scandalizzarsi e fare le verginelle. Questa invasione o questo tentativo di invasione non è di ieri ed è nato ben prima dell’Expo. E il motivo è semplice: Milano è la capitale degli affari, Milano è la città italiana in cui circolano più soldi, Milano è la capitale della finanza italiana. Del resto il boss Bernardo Provenzano, un esperto in materia, diceva sempre ai suoi picciotti «Va dove ci sono i soldi».
Detto fatto. La testa di ponte delle ’ndrine nella nostra città è stata la droga, in particolare la coca di cui, ormai, i calabresi hanno il monopolio grazie ai loro contatti con i cartelli sudamericani. Per capire il peso della nostra città in questo settore basta dire che è qui a Milano che si stabilisce il prezzo della coca per tutto il mercato europeo. Da qui a reinvestire e «lavare» i loro immensi guadagni derivanti dallo spaccio il passo è stato breve e l’invasione nel tessuto economico milanese è stata strisciante; si è cercato, insomma, di non dare troppo nell’occhio. Gli uomini della ’ndrangheta si sono piazzati dapprima nell’hinterland, in posti tipo Buccinasco, Rozzano, Cologno Monzese, località con una forte presenza di immigrati calabresi, imponendosi nel settore dell’usura e in quello dell’edilizia: oggi, stando agli esperti, la ’ndrangheta ha praticamente il monopolio per il cosiddetto «movimento terra». I boss delle ’ndrine hanno anche cambiato usi e abitudini: problemi che in Calabria vengono risolti con un colpo di lupara qui a Milano e in Lombardia, nei limiti del possibile, vengono appianati con un vertice, un incontro fra i boss.
Sia ben chiaro, di cadaveri sul terreno per il controllo della Lombardia e di Milano, ne sono rimasti parecchi ma anche in questi casi i boss hanno agito comunque con una certa discrezione. Si cerca, insomma, di non dare troppo nell’occhio e, evidentemente, con un certo successo. E così, mantenendo i loro regni nell’hinterland, in città i boss hanno mandato i colletti bianchi: persone, all’apparenza, al di sopra di ogni sospetto, che grazie alla possibilità di maneggiare enormi quantità di soldi non hanno trovato molti ostacoli. Nella capitale degli affari «pecunia non olet»; la borsa smuove grandi capitali anonimi, approfittarne non deve essere stato difficile. E sono stati, probabilmente, questi più o meno insospettabili colletti bianchi ad avvicinare, o a tentare di farlo, i politici locali, senza fare preferenze né a destra né a sinistra, come insegna il caso di Bollate.
Resta da domandarsi come abbiano fatto le istituzioni, a tutti i livelli, a non accorgersene o, peggio, a far finta di niente. Lo scorso marzo, quindi prima della massiccia operazione dell’altro giorno, Vincenzo Macrì, viceprocuratore aggiunto della Dna (Direziona nazionale antimafia) in un’intervista a «Famiglia cristiana» dichiarava: «Milano è diventata la capitale della ’ndrangheta. Quella della mafia a Milano è la storia di un radicamento più che trentennale». Insomma per quanto discreta abbia cercato di essere non è che la ’ndrangheta non si fosse fatta notare. Resta una consolazione: d’ora in poi nessuno potrà più dire io non sapevo, io non immaginavo. Il ministro dell’Interno Maroni finora ha dimostrato che la lotta alle mafie si può fare.

Non resta che andare avanti, senza guardare in faccia nessuno.

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