Politica

I clan ripuliscono il denaro con il Superenalotto

LocriLa notte del 10 maggio 2003, a Locri, se la ricordano tutti. Mezzo paese era in Via Marconi, davanti al bar «Poker», a stappare spumante e a brindare a quella vincita fortunatissima al Superenalotto. Un 5 più uno da otto milioni e mezzo mila euro centrato con una schedina di pochi euro. Ai tanti giornalisti accorsi, i titolari del bar, Francesco Savini e la moglie Graziella Marrapodi, non facevano che ripetere: «Non abbiamo la più pallida idea di chi possa essere il fortunato vincitore. Questo locale è frequentato da clienti abituali, ma anche da tantissima gente di passaggio, che consuma un caffè e tenta la fortuna».
Loro forse non sapevano davvero chi fosse, ma sulle tracce del vincitore si mise subito il narcotrafficante Nicola Lucà, fidanzato con Laura Savini, la figlia. Uomo di punta del clan Mancuso, vicino ai narcoterroristi colombiani, Lucà gestiva i traffici di cocaina dal Sudamerica verso l'Italia. Quella vincita era un'occasione troppo ghiotta per riciclare, in maniera facile facile, le sue enormi ricchezze. D'altronde, la pratica di utilizzare il flusso di denaro di giochi e lotterie nazionali per ripulire i soldi intascati col malaffare, e giustificare guadagni illegali in caso d'indagini, non è nuova per le organizzazioni criminali. La usava la camorra, sin dai tempi di Carmine Alfieri, ed è di due anni fa il caso di trenta vincitori dell'Avellinese che furono cercati, casa per casa, dal clan Cava-Genovese per versare ognuno la propria percentuale sulla megavincita di 36 milioni di euro.
Anche il superfortunato di Locri del 2003 fu subito individuato e costretto a vendere la schedina milionaria: oltre 8 milioni e mezzo di euro. Soldi liquidi, versati all'istante per comprare la ricevuta e il silenzio di quello che è rimasto il vero ed ignoto vincitore del concorso numero 38 del Superenalotto. Il meccanismo messo in piedi da Lucà per accaparrarsi la schedina vincente e farla risultare giocata dalla fidanzata fu seguito, passo passo, dai carabinieri del Ros, che lo intercettavano e poi lo arrestarono facendolo condannare a 14 anni di carcere. La sera del 10 maggio 2003, i militari ascoltarono la telefonata di Laura Savini, la figlia dei proprietari del bar «Poker», che informava il fidanzato della fortuna piovuta sul bar dei genitori. Lucà si mette in movimento, cerca di capire chi possa averla realizzata, chiama il suocero, vuole conoscere i numeri vincenti. Poi i Ros lo sentono parlare con un misterioso interlocutore, a cui dice: «Abbiamo otto milioni…adesso sei uno che conta». Per gli investigatori, il trentenne Nicola Lucà è stato l'abile regista di tutta l'operazione che ha portato all'incasso del premio.
Il narcotrafficante ha organizzato viaggi, appuntamenti con i direttori di banca e quelli successivi con i notai per acquistare terreni, ville e società. Cinque giorni dopo i festeggiamenti al bar «Poker», il 15 maggio di sette anni fa, Laura Savini e il fratello Massimiliano erano a Milano per presentare la schedina alla Sisal e far accreditare gli otto milioni e passa di euro su un conto corrente aperto a loro nome. Presso la stessa banca, due mesi dopo, Lucà si fece intestare un altro conto su cui passò con due bonifici oltre tre milioni di euro. La delega ad operare su quel conto corrente la affidò alla suocera, Graziella Marrapodi, ed a lei e ad altri familiari fece intestare conti bancari, polizze vita, titoli ed immobili che, ieri, la Corte d'Appello di Catanzaro ha finalmente confiscato restituendo alla comunità quei beni acquisiti illecitamente. Circa cinque milioni e mezzo d’euro.


Sotto il profilo operativo, per la prima volta è stata applicata la normativa antiterrorismo, che ha permesso ai carabinieri di operare sotto copertura, coadiuvati da privati, sia in Italia che all’estero. È infatti emerso come le organizzazioni italiane fossero in contatto con la principale struttura paramilitare colombiana, denominata Auc, «Autodefensas Unidas de Colombias»

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