Cronaca locale

I clochard alla guerra dei disperati: «Case? Le danno solo agli stranieri»

Sono clochard i milanesi più contrari alla crescita esponenziale degli immigrati nei quartieri. Tra i 35 e i 65 anni, con residenza italiana, a lungo hanno lavorato e pagato le tasse e da un giorno all’altro si sono ritrovati in mezzo alla strada. Senza uno straccio di monolocale dove passare la notte. E non sopportano di vedere gli extracomunitari sempre privilegiati nell’assegnazione delle case popolari. Costringendo gli italiani senza un tetto a passare le notti all’aeroporto di Linate.
In tutto 25 persone, che ripetono quasi all’unisono la stessa convinzione. Chi la esprime in modo più chiaro è Nello, 65 anni, laureato in ingegneria elettronica, di professione homeless: «L’80% degli alloggi calmierati è assegnato agli stranieri. Ho lavorato per 30 anni in multinazionali e sulle mie buste paga c’era una trattenuta alla voce Ina Casa. Ho dunque dovuto sborsare di tasca mia per gli appartamenti di ecuadoregni e filippini, e oggi mi ritrovo senza un tetto. Restare privo di tutto mi ha fatto capire la disuguaglianza che c’è in Italia». Un’idea su cui concordano tutti. «La colpa è della scelta di dare le case popolari agli stranieri che non hanno fatto un solo giorno di lavoro - sottolinea Danilo, 55 anni -. Con 700 euro al mese di stipendio a Milano è impossibile pagare l’affitto e sostenere le altre spese. Mentre con un alloggio a canone calmierato si potrebbe almeno sopravvivere. Peccato che le domande degli italiani finiscano tutte in fondo alla graduatoria». Ma anche nei dormitori pubblici la situazione è la stessa. «Nella Casa dell’accoglienza di viale Ortles chi detta legge sono i nordafricani», protesta Matteo, 42 anni, che fino a un anno fa lavorava come cameriere a Ravenna e aveva un appartamento. La regola non scritta all’aeroporto prevede che gli homeless italiani si corichino tra il bar e le panchine dell’area partenze, mentre i pochi stranieri si riparino nell’area arrivi. «Ma ci rimangono per poco - rivela Antonio, un altro clochard -. In un paio di giorni la polizia entra in azione, individua chi è senza permesso di soggiorno e lo espelle».
Come spiega Ugo, 64 anni, «tra le persone che passano la notte qui dentro c’è anche chi durante il giorno svolge un lavoro normale». Li si riconoscono dalla cura con cui al mattino si fanno la barba nelle toilette dell’aeroporto, si cambiano il vestito e si recano a prendere il 73 per San Babila stringendo la ventiquattrore che durante la notte è stato il loro cuscino. Tolto qualche vedovo, tutti gli altri sono mariti separati. Ma tra i principali motivi per cui un milanese può diventare un clochard c'è anche la burocrazia. «Da mesi ho perso il portafogli con i documenti e mi è stato imposto il blocco anagrafico - si lamenta Antonio, 55 anni -. Pur essendo italiano per lo Stato sono come un fantasma». Anche Nello a suo modo è una vittima della lentezza dell’amministrazione. «Raggiunti i 65 anni ho chiesto di andare in pensione - rivela -. Non ho ancora ricevuto una risposta e nel frattempo non potevo più pagare l’affitto.

E così la mia nuova residenza è diventata l’aeroporto».

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