Ma i comunisti cantavano vittoria anche nel 1948

Turi Vasile

Malgrado il freddo, c’è già nell’aria un presentimento di primavera come nel 1948 di questi giorni. Non poche sono le analogie che uniscono le due vigilie della consultazione popolare. Come allora, è scesa in campo una forte e folta coalizione di sinistra; come allora la campagna elettorale ha assunto toni polemici esasperati. Allora si profilava il pericolo di una presa del potere da parte del comunismo sovietico; ora si profila il pericolo di una presa del governo da parte del comunismo senza Urss. Gli avversari ridono con la consueta aria di superiorità sostenendo che il comunismo non c’è più; ma non è colpa nostra se nella loro Unione svolgono funzione condizionante e forse determinante due partiti dalle bandiere rosse con falce e martello e che a scanso di equivoci si firmano comunisti. Li appoggiano fiancheggiatori i quali, nel tentativo di mascherarsi un po’, hanno steso una mano di verde sul fondo tutto rosso.
Cinquantotto anni fa Luigi Gedda mi affidò la propaganda dei Comitati Civici istituendo l’Ufficio un po’ pomposamente chiamato Psicologico. In tre mesi promuovemmo numerose iniziative specializzandoci nei grandi manifesti stradali di cui ancora resiste il ricordo. Dico queste cose non per vantarmene ma per fornire la prova che le mie considerazioni si basano su esperienza e testimonianza dirette e non per sentito dire. I Comitati Civici nati d’incanto dal genio organizzativo di Gedda si dedicarono invece con rigorosa esclusiva a combattere l’astensionismo e il comunismo. Si temeva allora che la gente non andasse a votare sia per indifferenza e inerzia sia perché intimidita dal Fronte Popolare a cui davano manforte gli «intellettuali».
C’erano inoltre fondate paure che il comunismo replicasse la feroce tirannia e l’impoverimento dei popoli come accadeva in tutte le sue prese di potere, dimostrando che quella utopia ideale incarnandosi storicamente contraddiceva, fatalmente sempre, i suoi principii di libertà, di uguaglianza e di benessere per tutti. Confortati dai dispacci clandestini delle Chiese del Silenzio, noi dei Comitati Civici fummo in grado di rivelare particolari raccapriccianti del regime sovietico, contestati dagli avversari come nostre farneticazioni viscerali e reazionarie. Dovevano passare molti anni perché, con nostra legittima soddisfazione, Krusciov in persona al XX congresso del Pcus confermasse le nostre rivelazioni dei crimini di Stalin.
Allora la coalizione di sinistra si ingegnò a diffondere la psicosi di una loro certissima vittoria; ora quelli dell’Unione già si spartiscono dicasteri e cariche internazionali e si preparano a cancellare tutte le leggi e le riforme realizzate dal centrodestra. Allora Togliatti, in un comizio a Roma in piazza San Giovanni gremita di gente osannante dichiarò, con finissima volgarità, di essersi fornito di uno scarpone chiodato con cui dare a De Gasperi un calcio nel sedere; ora Prodi farfuglia davanti alla smisurata invisibile platea dei telespettatori che Berlusconi ha ridotto alla fame nera e alla disperazione l’Italia, a cui egli promette una razione di mortadella per tutti (chiedo scusa per essermi assuefatto all’imperversante linguaggio polemico e volgare...). Allora, a pochi giorni dal voto, tutti i muri d’Italia furono tappezzati da manifesti giganti con la scritta: «Il Fronte vince - Vota Fronte». Mi pare che persino Gedda ne restasse turbato. Io invece, con incosciente foga giovanile sentenziai: «Hanno perso!». Contavo sulla convinzione che il popolo italiano reagisse urtato da quel trionfalismo presuntuoso a priori.


Le analogie resisteranno fino al 9 aprile? Avremo una seconda primavera? Recentemente l’onorevole Violante ha espresso gratitudine a coloro che con la loro propaganda avevano impedito l’insediamento del comunismo sovietico in Italia. Chi ringrazierà a distanza di anni il Polo, sempre se ne sarà il caso, per aver impedito una restaurazione retrograda contraria ad ogni ammodernamento? D’Alema?

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