Politica

I congiurati che hanno incastrato il líder Máximo

TRAPPOLONE Da Brown alla Merkel ecco gli autori del siluramento. E in Italia per il Pd ora si apre il calvario

nostro inviato a Bruxelles

Gordon Brown e la corte di sua Maestà Britannica o gli israeliani? Angela Merkel o piuttosto il suo mefistofelico compatriota socialista Martin Schulz? L’effervescente Silvio Berlusconi o l’algido premier spagnolo Josè Luis Rodriguez Zapatero? Insomma chi ha incastrato Roger Rabbit?
Paragonare il líder Máximo al coniglio folle e pasticcione di Robert Zemeckis forse è azzardato, ma è vero che per entrambi è scattato un trappolone imprevisto in un percorso che pareva ormai tutto in discesa. «Capita che chi entra in Conclave Papa, ne esca cardinale...» sussurrava a mo’ di scusa con imprevista conversione al linguaggio ecclesiale, il capogruppo socialista all’Europarlamento Schulz, dopo la riunione - nella sede della rappresentanza austriaca presso la Ue - dei premier socialisti che incoronava la compagna baronessa Ashton di Upholland: e cioè, oltre al padrone di casa Werner Faymann, il britannico Brown, lo spagnolo Zapatero, il greco, lo sloveno, lo slovacco, l'ungherese, il cipriota (alla fine spuntava anche il portoghese Socrates). Solo che era stato proprio Schulz, per giorni e giorni, a comunicare urbi et orbi che D’Alema era il prescelto.
«Alla presenza del presidente del partito Poul Nyrup Rasmussen, il gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo insieme alla famiglia socialista europea, hanno scelto di sostenere all’unanimità Massimo D’Alema per la carica di Mr. Pesc» dichiaravano del resto trionfanti in una nota congiunta David Sassoli, capodelegazione del Pd al Parlamento europeo, Gianni Pittella, vicepresidente del Pe e Gianluca Susta, vicepresidente Gruppo S&D. Era l’11 novembre scorso. Appena dieci giorni fa. Che è accaduto dunque in poco più di una settimana per portare Baffino dalle stelle alle stalle?
Schulz (al cui fianco si è ritrovato guarda caso Di Pietro) ha provato a sostenere la tesi che D’Alema non aveva dietro un governo a guida di sinistra, ma Berlusconi. Dovrebbe semmai uscire allo scoperto per confermare - o meno - di aver ricevuto qualche telefonata da Berlino che lo invitava seccamente a mollare l’impegno in vista di più impegnative battaglie per la patria germanica (vedi Bce). Chi ha analoghe responsabilità nella caduta dalemiana è senz’altro Gordon Brown. La sua insistenza per Blair presidente (e dunque di un altro socialista) ha limato giorno dopo giorno le ambizioni dell’ex-segretario del Pds. E se è da verificare che la Merkel abbia davvero mostrato ostilità nei confronti della candidatura italiana, qualche spiffero dalla riunione dei 9 premier di sinistra parla di uno Zapatero addirittura gelido all’idea di ritrovarsi D’Alema con la feluca di Mister Pesc. Concorrenza mediterranea o c’è di più?
Fatto sta che il day after, per il popolo della sinistra italiana è un nuovo calvario. «È prevalsa una scelta di compensazione dopo il no a Blair» si lamenta Fassino. «Sciocchezze! D’Alema non è passato perché nessuno dei leader socialisti l’ha appoggiato» ribatte la Bonino, che Bruxelles ed i suoi riti li conosce come le proprie tasche. «Che siano stati i laburisti inglesi, i socialisti spagnoli, i socialdemocratici tedeschi ad affossare la candidatura di D’Alema non può che irritarci profondamente. Il Pd si liberi delle vecchie logiche che muovono il pachiderma socialista in Europa» entra in tackle scivolato il vicepresidente della commissione Affari Europei della Camera, Enrico Farinone (Pd). E persino il circolo del Pd di Vedano Olona punta un indice accusatore contro i fratelli germanici: «Schultz e l’area socialista devono avere il coraggio di guardarsi dentro e fare autocritica: non è un caso che il partito di Schultz abbia preso di recente una sonora batosta alle ultime elezioni nazionali in Germania».

Tanto che, contrariamente a Castagnetti che rileva come la collocazione internazionale non c’entri, c’è chi come Vernetti - fuoriuscito dal Pd assieme a Rutelli - tiene a evidenziare come dopo il danno dell’ingresso del Pd nel gruppo eurosocialista, sia giunta, puntuale, la beffa.

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