Politica

I Grandi in aiuto dell’Africa: 20 miliardi contro la fame

nostro inviato all’Aquila

Venti miliardi di dollari in iniziative concrete - e da verificare con nuovi organismi di controllo - contro la fame in Africa, una dichiarazione comune sulla necessità che nel continente nero, ma anche altrove, milioni di uomini e donne abbiano libero accesso all'acqua. Poi il minuto di silenzio per ricordare le vittime del terremoto che il 6 aprile ha travolto L'Aquila, la foto di gruppo e le conferenze finali di Silvio Berlusconi, di Barack Obama e degli altri leader del mondo negli edifici della Guardia di finanza di Coppito. E al termine cala il sipario sul summit nel capoluogo abruzzese che qualcuno voleva votato al fallimento e che, al contrario, è stato forse uno dei più efficaci degli ultimi anni.
A dirlo, non solo i protagonisti dell'incontro come il presidente Usa per il quale «è stato un G8 molto produttivo», o Gordon Brown che ha voluto ringraziare «Berlusconi per avere inserito temi come i mutamenti climatici e la sicurezza alimentare nell'appuntamento». Anche il russo Medvedev si è detto soddisfatto come pure Zapatero che certo con il premier italiano non va usualmente troppo a braccetto: «Tutto ha funzionato molto bene - ha rimarcato nella sua conferenza stampa finale il premier spagnolo - ed è stato fatto davvero un buon lavoro». No. Non solo le dichiarazioni di chi era attore nel summit a testimoniare che la riunione è stata davvero positiva. C'è semmai la soddisfazione dei Paesi africani per le decisioni prese nell'ultima giornata (col vicedirettore del programma alimentare dell'Onu Steffan De Mistura a rilevare di aver visto «parecchi vertici» ma di trovarsi per la prima volta davanti a un G8 «che assume un impegno così marcato, così chiaro, così determinato nel medio-lungo termine ma anche nel breve termine e questo conferma la serietà dell'impegno»). Ci sono le parole del presidente sudafricano Zuma per il quale «non c'è mai abbastanza per aiutare l'Africa ma stavolta una lunga marcia inizia con grande concretezza».
E ci sono i documenti. Con le firme dei leader del G8 e dei capi di Stato e di governo di Algeria, Angola, Egitto, Etiopia, Libia, Nigeria, Senegal, Sudafrica. Venti miliardi di dollari in tre anni per combattere la fame (5 in più del preventivo messo allo studio) che «sta colpendo più duramente i più poveri e rischia di inficiare il progresso ottenuto nel campo della salute». Ma non più soldi a pioggia. La stagione della liberazione della coscienza tramite le donazioni si chiude per sempre, così come quella della cooperazione dispersa in mille rivoli. I Grandi vogliono aiutare l'Africa, ma intendono verificare dollaro per dollaro dove sarà utilizzato il denaro e hanno deciso di monitorare annualmente impegni di spesa e obiettivi raggiunti tramite una nuova authority, a cominciare dal prossimo G8 che si terrà in Canada a Huntsville (Toronto). «Non c'è ragione perché l'Africa non sia autosufficiente da un punto di vista alimentare» ha tenuto a notare Obama, raccontando che i suoi parenti in Kenia non sono certo ricchi, ma non si può dire soffrano la fame. Via allora ad aiuti mirati in campo agricolo e a impegni perché quanto si potrà produrre trovi canali di esportazione che migliorino la vita dei Paesi africani. Un documento impegnativo, così come quello sull'acqua che vede per la prima volta, assieme, le firme dei Grandi e dei Paesi africani e che - stando agli sherpa di vari Stati che vi hanno lavorato a lungo - era tutt'altro che un traguardo scontato.
Cala il sipario all'Aquila tra la soddisfazione generale. In carniere sono finiti - così come recita la bozza finale del summit - la richiesta unanime di una crescita «bilanciata e sostenibile dell'economia globale» accompagnata da un ferreo accordo per la lotta all'evasione fiscale; un’importante intesa (sia pure con le perduranti resistenze di India e Cina) per un intensificarsi della lotta ai cambiamenti climatici con una riduzione secca dell'emissione del Co2 di qui al 2050. E ancora - forse il capitolo più impegnativo - si è espressa chiaramente «la determinazione a resistere al protezionismo» assieme alla dichiarata volontà di chiudere entro l'anno il negoziato Wto fermo ormai da troppo tempo a Doha.
C'è, in più, un rinnovato impegno per combattere tanto il terrorismo che la pirateria che sta ricomparendo nel Corno d'Africa e non solo lì. E, ancora, c'è spazio nei testi finali per la difesa della teoria «due popoli due Stati» come prospettiva in Medio Oriente (con impegni a sviluppare l'economia palestinese), c'è la denuncia della repressione iraniana nel post-voto non senza una brusca condanna del negazionismo di Ahmadinejad e c'è l'annuncio della ripresa di un negoziato globale sul disarmo nucleare che coinvolga tutti i Paesi possessori di armi atomiche dopo l'accordo di Mosca tra Obama e Medvedev.

Discorso questo che, approvato senza riserve dal britannico Brown e dal francese Sarkozy, dovrebbe aprirsi a Washington la prossima primavera.

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