Stile

I latterini del Trasimeno Ecco la vera Umbria in tavola

In carta ingredienti rari come le uova di carpa regina E tra i primi ottimi gli stringhetti con fave e maggiorana

di Camillo Langone

Si va in Umbria per assaporare l'Umbria, e questo dovrebbe suonare sensato se non perfino ovvio, ma siccome tutto è follia nel mondo ecco che nei ristoranti del capoluogo dell'unica regione peninsulare senza sbocco al mare si trovano innanzitutto piatti di mare. Vuoi mangiare con vista spettacolare sulla Valle Umbra? Laggiù in fondo vedrai Assisi ma sul menù leggerai arrosticini di tonno alla griglia, ciuffetti di calamari fritti, bis di marinati (alici e sgombro), spaghetti alle vongole, chitarrini all'aragostella, risotto alla pescatora, millefoglie di spigola, polpo alla griglia... In centro storico risulta molto complicato trovare qualcosa di speciale, gastronomicamente parlando.

Nella piazza che un tempo vantava il peculiare, prezioso nome di Sopramuro e che oggi si chiama serialmente Matteotti, in quello che dovrebbe essere il miglior forno cittadino il torcolo di San Costanzo (dolce caratteristico) è appena finito mentre a pochi metri di distanza in quella che dovrebbe essere la migliore macelleria cittadina il barbozzo (salume tipico) è momentaneamente non disponibile. Tocca prendere la macchina e uscire dalla porta urbana, forse etrusca, in direzione della frazione di Casaglia dove in un edificio né moderno né particolarmente antico, certamente non etrusco, si trova il ristorante Stella e, forse, la vera Umbria.

Qui la cucina vale soprattutto per gli ingredienti, alcuni davvero rari. Mai l'Incontentabile aveva mangiato i latterini, meno che meno i latterini del Trasimeno. Averli in carta è grande merito di questo locale, e merito non piccolo è il proporli fritti anziché in tempura. Sappiamo bene che fritto e tempura sono quasi sinonimi (nella maggioranza dei casi si potrebbe omettere il quasi) ma si resta ammirati quando un ristorante non usa parole acchiappagonzi nel menù. Dopo i pescetti esiste la possibilità di un altro ingrediente inaudito, le uova di carpa regina. E' da cogliere. La carpa regina a dispetto del nome è la carpa base, la carpa più comune, ma certo non è esperienza comune, almeno per chi non risieda sulle rive di un lago, gustare linguine impreziosite dalle sue piccolissime uova gialle, strana via di mezzo fra caviale e semolino. Altro primo significativo sono gli stringhetti, pasta fresca condita con fave e maggiorana, ed è un piatto che sembra uscito dalle pagine del «Viaggio in Italia» di Guido Piovene: «L'alimentazione in uso nella campagna umbra: la sera minestra di pasta con legumi o formaggio». Correva l'anno 1957, di lì a pochissimo il boom economico avrebbe portato il frigorifero in ogni casa e da ogni casa asportato i legumi, le fave in particolare, retaggio della cucina centro-meridionale povera e quindi alimento da dimenticare. A proposito di legumi, oggi purtroppo non è presente la roveja, una specie di pisello che non è proprio un pisello (altrimenti si chiamerebbe pisello), annunciata invano nell'elenco dei fornitori. Non c'è nemmeno il mazzafegato dell'alta valle del Tevere, una salsiccia ricca di frattaglie e di spezie: bisognerà aspettare l'autunno.

Le porzioni sono cospicue, da trattoria più che da ristorante, e, considerata inoltre l'esecuzione molto casalinga delle ricette, all'Incontentabile ordinare piccione ripieno di salsiccia sembra eccessivo. Non che l'anguilla vieille cuisine sia il massimo del digeribile ma in questo caso osa, per motivi squisitamente letterari. Nell'elenco fornitori c'è scritto che il pesce oltre che dal Trasimeno arriva dal lago di Bolsena e basta questo per far scattare la reminiscenza dantesca: il sommo poeta colloca il goloso papa Martino IV nel purgatorio per fargli scontare, col digiuno, «l'anguille di Bolsena e la vernaccia». Pertanto arrivano in tavola i tronchetti cotti alla brace, infilzati con lo spiedino e profumati di alloro, corredati da un fettone di limone alla maniera dei fritti misti, o delle cotolette, del tempo che fu. Irresistibile il cremoso di capra, formaggioso dessert la cui notevole materia prima proviene da un caseificio di Cascia.Dolente nota finale: se al ristorante Stella il cibo è tradizione, il vino è ideologia, se le vivande sono edonistiche le bevande sono pedagogiche. La carta è quasi completamente occupata, si potrebbe dire militarmente presidiata, dai vini cosiddetti naturali, parecchi dei quali macerati sulle bucce e definiti orange dai cultori (ma l'Incontentabile anziché arancioni preferisce chiamarli marroni, e non li beve nemmeno se glieli regalano). L'offerta non è per nulla scarsa: 13 bianchi umbri sarebbero pure troppi se quattro non fossero senza solfiti (e quindi forse non proprio bianchi), se due non fossero attempatissimi (perché bere Orvieto di 16 anni quando in commercio ne esiste di 16 mesi?), se tutti gli altri non minacciassero comunque ossidazioni e sentori di aceto. I gestori appaiono consapevoli delle inevitabili perplessità, temono le reazioni dei clienti non abbastanza catechizzati, o non abbastanza masochisti, e mettono le mani avanti descrivendo così una certa bottiglia: «Non per tutti!».

Peccato che una cucina così serena venga contraddetta da una cantina così settaria.

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