I mille volti di un Paese difficile

Vittorio Mathieu

Auguriamoci che gli Stati Uniti provvedano alla minaccia dell’Iran, ma con molta ponderazione e non senza aver studiato la storia di quello strano Paese. Su quell’altopiano si formano giganti con i piedi d’argilla, che dopo qualche tempo scompaiono; ma a volte il tempo è di qualche secolo.
Intorno al 523 a.C. Cambise conquistò l’Egitto e (prudenza o discrezione?) si astenne dall’attaccare Cartagine e l’Etiopia: nulla di strano, dunque, se anche oggi la Persia considera la Palestina come un semplice luogo di passaggio. Le guerre con la Grecia volsero sempre più a favore dei greci, ma quando Alessandro il Macedone sconfisse Dario III e ne conquistò l’impero (fino alla valle dell’Indo) divenne subito persiano lui stesso. E non tutti i suoi successori ripudiarono le mogli persiane che avevano sposato (come anche lui).
La conquista araba convertì bensì la Persia a Maometto, ma i persiani guarderanno sempre un po’ dall’alto in basso i maomettani, essendo fieri della loro antica religione di Zoroastro, che (forse perché mal conosciuta) affascinò pensatori come Goethe, Hegel e Nietzsche. Per questo l’eresia sciita fiorì particolarmente in Iran.
Da Bagdad (fondata dagli Abassidi persiani intorno al 750) i califfi guidarono per cinque secoli l’Islam, aprendolo a influssi indoeuropei; influssi che, per i puristi, furono e sono una spina nel cuore. Insomma, noi parliamo imitando gli inglesi di «medio Oriente», ma per i persiani siamo piuttosto noi il vicino Occidente, che cariche nucleari portate da opportuni vettori potrebbero domani sottomettere.
Dell’Iran non ho conoscenza diretta, ma degli iraniani sì, grazie all’Unesco. Il mio collega al Consiglio esecutivo era un principe, senza dubbio ricchissimo, e parlava continuamente in favore di «più» sfavoriti»: poveri, donne, malati. Probabilmente per ragioni religiose, era in forte contrasto con il direttore generale, un senegalese musulmano ortodosso. Dopo che Khomeini (col solito aiuto della Francia: oggi è lo stesso) ebbe rovesciato lo Scià, rividi a Parigi l’ex collega, con un gran barbone e un vestito dimesso: «Mi riconosce?». Solo allora riconobbi il principe, che si era adeguato ai tempi.
Udii poi una osservazione interessante da un ex ambasciatore d’Italia a Teheran. «Solo chi non sapesse nulla dell’Iran avrebbe potuto prevedere la caduta dello Scià». E spiegò che Reza Pahlevi, nella sua ansia di modernizzazione, aveva promosso riforme utilissime, dopo aver stroncato il socialismo di Mossadeq: aveva nazionalizzato le foreste e privatizzato le industrie, diffuso l’istruzione, inventato la partecipazione degli operai fino al 20 per cento dei benefici industriali, ma aveva dimenticato una cosa: dare soldi ai mullah. Così studenti e una élite intellettuale e «laica» avevano fomentato disordini, fino a instaurare un regime teocratico quando lo Scià, affetto da tumore, divenne incapace di reagire. Non meravigliamoci, dunque, se le ultime elezioni, in un paese laico, hanno dato una maggioranza schiacciante a un giovane che ha l’apparenza di un avventuriero casual, ma che governa per conto di una casta sacerdotale abituata a farla da padrona, fin dal tempo dei Sassanidi (VI-VII secolo d.C.).
Dicono che politicamente noi italiani siamo incomprensibili, ma gli iraniani lo sono di più. Qualche indicazione, tuttavia, la storia la può dare.
In primo luogo che i persiani (o i Parti) è facile vincerli in battaglia, ma col risultato di perdere la guerra. Se ne accorsero romani e bizantini (Valeriano, Giuliano l’Apostata, fino a Eraclio, che abbatté la Persia e così diede via libera agli arabi). Sarebbe facile coprire di bombe l’Iran e la sua popolazione pacifica, che non desidera di meglio che vivere all’occidentale, eppure si sottomette a una casta sacerdotale fanatica; ma non servirebbe. Del resto, anche quando i greci ebbero ragione di Serse, l’oro del «gran Re» non mancava d’indurre molte città greche a schierarsi dalla sua parte. Oggi l’oro nero del petrolio fa di peggio.
Le bombe, nei conflitti attuali, sono efficaci solo su obiettivi «sensibili» ben delimitati: per il resto si mostrarono inutili già nelle due ultime guerre mondiali. Speriamo, dunque, che agli Usa giovino i consigli di una lobby ebraica più abituata a guerre non convenzionali.
Quanto a Israele e a noi, fatuo parlare di «equivicinanza» e perdersi in discussioni circa il suo diritto a esistere.

Meglio applicargli ciò che di Dio diceva Voltaire, incerto sulla sua natura e ostile a ogni religione rivelata: «Se non ci fosse, sarebbe opportuno inventarlo».

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