Cultura e Spettacoli

I nuovi alfieri della dissidenza russa

Una antologia raccoglie un pugno di testi di tre "classici contemporanei", diversissimi per scrittura e impegno. Ma egualmente scomodi, ostili al potere e critici nei confronti dell’oligarchia putiniana

I nuovi alfieri della dissidenza russa

Non è un caso che la definizione più precisa di “dissidente” - «non colui che semplicemente pensa in modo diverso, bensì colui che esprime esplicitamente la sua opposizione e la manifesta ai concittadini e allo Stato» - la si debba a un russo, lo storico Roy Medvedev. Lo spiegò, negli anni Settanta, a Piero Ostellino in Intervista sul dissenso in Urss (Laterza). Non è un caso perché in Russia, da Tolstoj a Sakharov da Mandel’štam a Solzenicyn fino al più recente caso di Anna Politkovskaja, gli intellettuali hanno sempre manifestato posizioni fortemente critiche nei confronti del potere, fosse esso incarnato dallo Zar, i bolscevichi, la nomenclatura sovietica o, oggi, gli alti papaveri dell’oligarchia putiniana. Il pericoloso rapporto fra letteratura e politica, qui, ha prodotto sangue e capolavori.

Sul “vecchio” dissenso molto si è scritto e si è pubblicato. Sul nuovo, non moltissimo. Ecco perché è interessante l’antologia Russian attack (Salani) che raccoglie un pugno di testi di tre grandi scrittori contemporanei russi: Viktor Erofeev, Vladimir Sorokin, Eduard Limonov, diversissimi per stile e impegno, ma tutti e tre intellettuali scomodi, riottosi al potere, critici nei confronti della società e la classe politica russa, fautori e creatori di una arte «da combattimento», produttori instancabili di una cultura «altra», diffidente e dissidente. Tutti e tre sono stati accusati di pornografia, di terrorismo, di tradimento dello spirito russo; censurati, diffamati, emarginati nel loro Paese, la Grande Madre Russia che, come tutti i figli maltrattati, non riescono a non amare.

Viktor Erofeev, romanziere e saggista, 63 anni, moscovita, espulso nel 1979 dall’Unione degli Scrittori sovietici per aver dato vita all’almanacco Metropol’ non ha potuto pubblicare nulla in patria fino all’88, con Gorbaciov. Eduard Limonov, poeta e attivista politico, nato nel 1943, già vicino all’intelligencija dissidente del circolo «Konkret», nel ’74 emigrato negli Usa e dal 1980 in Francia, è tornato in patria con il crollo dell’Urss: nel ’94 ha fondato il partito nazional-bolscevico e tra il 2002 e il 2003 è stato imprigionato con l’accusa di traffico d’armi e attività sovversiva. Vladimir Sorokin, 55 anni, drammaturgo e pittore concettualista, formatosi artisticamente nell’ambiente underground moscovita negli anni Ottanta, ha pubblicato il suo romanzo-capolavoro, La coda, a Parigi, nell’85. «Tre classici viventi della letteratura russa contemporanea», scrive Marco Dinelli nell’introduzione dell’antologia, che raccoglie racconti (come quello autobiografico di Limonov che pubblichiamo in questa pagina), articoli (bellissimo Il potere dei musi, di Sorokin, del 2009), «lettere aperte» (come quella al presidente Putin, dal titolo Accoppare gli scrittori nel cesso, scritta da Erofeev nel 2002). Tre classici del dissenso, non tanto politico ma artistico: con le loro opere «diverse» e provocatorie hanno messo sotto attaccato - Russian attack -il sistema di potere culturale.

In un Paese che, in casi simili, ha seppellito vittime illustri.

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