I partiti non rinunceranno a nominare i parlamentari

Non so se e quale modello prevarrà fra i tanti, stranieri ma anche italiani, invocati dai partiti che si affannano a cercare un accordo per evitare la prospettiva di affidare ancora una volta la riforma elettorale alle forbici, anzi al bisturi del referendum. Che abrogando della legge in vigore non «parti», come consente la Costituzione, ma solo alcune parole lì e altre là finisce per modificarla, con un effetto definito dai giuristi «manipolativo». Che è sinonimo di imbroglio, come ha appena gridato il guardasigilli Clemente Mastella. Una cosa tuttavia mi sembra certa sin d’ora: non sarà ripristinato il voto di preferenza: né quello plurimo abolito con il referendum del 1991, né quello unico sperimentato nelle elezioni dell’anno successivo ma cancellato con la legge del 1993 nella parte riguardante la quota dei seggi della Camera assegnabile ancora con il sistema proporzionale.
Credete a me. Nessuna segreteria di partito intende rinunciare al privilegio di nominare di fatto i parlamentari, come avviene ora facendo risultare eletti i candidati nell’ordine, non certo alfabetico, in cui vengono messi in lista. Non intendono rinunciarvi neppure i partiti minori che a parole, a cominciare dall’Udc, protestano contro il sistema in vigore e reclamano il ripristino di una o più preferenze. La loro difesa del sacrosanto diritto degli elettori di scegliere non solo il partito ma anche uno o più candidati della lista è solo una finzione, basata sulla consapevolezza che a impedire le preferenze sono e saranno i partiti maggiori. Fra i quali ci sono alcuni, come i Ds e la Margherita, che mostrano ogni tanto anche loro un certo disagio per un Parlamento ormai più nominato che eletto ma si guardano bene dall’assumere o appoggiare iniziative concrete per cambiare le cose. E ce ne sono altri, come Forza Italia e Alleanza Nazionale, i cui vertici dicono il loro no alle preferenze in modo trasparente, cioè onesto, con motivazioni che possono piacere o non piacere ma hanno il merito, vivaddio, di essere esposte senza ipocrisia.
Per quanto non ne condivida - come spiegherò - il ragionamento, ho trovato particolarmente onesto e sincero il no recentemente opposto da Sandro Bondi alla difesa delle preferenze fatta da Sandro Fontana, che le reclama convinto ch’esse possano, fra l’altro, mobilitare maggiormente i candidati e procurare quindi più elettori ai loro partiti. «Certi notabili potrebbero usare questo strumento come arma per condizionare e indebolire il potere del leader», ha obiettato Bondi.

Al quale vorrei far notare amichevolmente che, più ancora di «certi notabili», come lui definisce i politici molto radicati nei loro collegi, possono nuocere al leader nazionale l’impopolarità di un potere troppo solitario e la disaffezione elettorale che alla lunga è destinato a provocare un Parlamento nominato dall’alto.

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