I personaggi e i fatti che raccontano la storia del nostro Paese in una serie di immagini d'autore

Riccardo Muti è stata la guida dei più gloriosi teatri d'Italia: il teatro del Maggio Musicale Fiorentino, la Scala per vent'anni; oggi è direttore a vita del Teatro dell'Opera di Roma. Ha retto la Philharmonia di Londra e la Philadelphia Orchestra: con immutato entusiasmo attualmente conduce quella che è la maggiore orchestra sinfonica americana, Chicago. È di casa al Festival di Salisburgo, a Vienna e a Monaco di Baviera.
Non è un elenco di vanità: è un corso degli onori che parla da solo. Con la metà del suo curriculum qualcuno si sarebbe già messo a riposo. Non Muti. Molto spesso le star della bacchetta, raggiunti i vertici della professione, preferiscono ridurre i rischi per navigare acque tranquille, limitando il repertorio, ed evitando di incrociare gli agitati e perigliosi teatri d'opera. Un tenace luogo comune italiano degli ultimi decenni assegna la palma dei sommi ai direttori impegnati soprattutto nel repertorio sinfonico, come se fosse tecnicamente più difficile dirigere una sinfonia di Beethoven che un'opera di Verdi o Puccini (autore difficilissimo). Costoro non sanno o fingono di non sapere che la grande scuola direttoriale tedesca pretendeva il passaggio dall'esperienza operistica per occupare posti di rilievo nell'ambito della pratica sinfonica. Quindi è vero il contrario: l'opera è molto più complessa. Qualche sporadica incursione nell'opera viene concessa dai cosiddetti sapienti, ma solo per un pugno di capolavori consolidati e sicuri. Muti ha affrontato Mozart e Verdi, Rossini e Bellini, non limitandosi alle loro vette. Pigrizia nella programmazione o mode dettate da opportunismo ideologico non lo hanno sfiorato quando ha riportato le opere di Gluck al loro giusto posto o dimostrato che la musica sacra di Luigi Cherubini è degna di stare accanto a Beethoven e Schubert.
Muti non ha fatto soltanto scelte valorose nel repertorio, difende anche un modo di far musica legato ad una preparazione seria e meticolosa. Oggi per ragioni che nulla hanno a che fare con la musica si limita il numero delle prove. E così accadono eventi paradossali: direttore e solisti che si incontrano alla mattina per la sera, oppure ripassano lo spartito di corsa e vanno direttamente in scena. Di questo passo se una nota è difficile si arriverà al diritto di semplificazione o magari alla soppressione. Questa prassi dilagante è esattamente all'opposto di quanto Riccardo Muti valorosamente persegue. Eppure proprio il momento delle prove è quello che definisce il livello di uno spettacolo operistico. È lì che nasce una buona se non grande esecuzione, nel rapporto fra parola e musica. È quanto Giuseppe Verdi riassunse nel concetto di parola scenica, «la parola che scolpisce rende netta ed evidente la situazione».

Senza questo una melodia meravigliosa coniugata ad un verso sublime non hanno vita.

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