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I principali punti del ddl Gelmini

Dalla riorganizzazione interna secondo criteri di trasparenza e meritocrazia passando per la lotta a "parentopoli" fino al limite di due mandati per i rettori. Ecco i punti del ddl sull'università

I principali punti del ddl Gelmini

Roma - Lotta agli sprechi, a "parentopoli", stop ai rettori a vita, autonomia delle università coniugata con una forte responsabilità finanziaria, scientifica, didattica: sono solo alcuni dei punti-cardine del ddl di riforma dell’università che domani sarà all’esame della Camera per l’approvazione. Ma vediamo più nel dettaglio cosa prevede il ddl.

Stop a finanziamenti a pioggia Le università sono autonome ma risponderanno delle loro azioni. Se saranno gestite male riceveranno meno finanziamenti. In pratica, i soldi vengono dati solo in base alla qualità garantita.

Meritocrazia Si introduce l’abilitazione nazionale come condizione per l’accesso all’associazione e all’ordinariato. L’abilitazione è attribuita da una commissione nazionale sulla base di specifici parametri di qualità. I posti saranno poi attribuiti a seguito di procedure pubbliche di selezione bandite dalle singole università, cui potranno accedere solo gli abilitati.

Giovani Revisione e semplificazione della struttura stipendiale del personale accademico per eliminare le penalizzazioni a danno dei docenti più giovani; revisione degli assegni di ricerca per introdurre maggiori tutele, con aumento degli importi; abolizione delle borse post-dottorali; nuova normativa sulla docenza a contratto, con abolizione della possibilità di docenza gratuita se non per figure professionali di alto livello; riforma del reclutamento, con l’introduzione di un sistema di tenure-track: contratti a tempo determinato di 6 anni (3+3). Al termine dei sei anni se il ricercatore sarà ritenuto valido dall’ateneo sarà confermato a tempo indeterminato come associato. In caso contrario terminerà il rapporto con l’università maturando, però, dei titoli utili per i concorsi pubblici. Inoltre, si abbassa l’età in cui si entra di ruolo in università, da 36 a 30 anni, con uno stipendio che passa da 1300 euro a 2100.

Codice etico Le università dovranno adottare un codice etico per evitare incompatibilità e conflitti di interessi legati a parentele. Alle università che assumeranno o gestiranno le risorse in maniera non trasparente saranno ridotti i finanziamenti del Ministero. Limite massimo complessivo di 6 anni al mandato dei rettori, inclusi quelli già trascorsi prima della riforma: un rettore potrà rimanere in carica un solo mandato, per un massimo di sei anni. Distinzione netta di funzioni tra Senato e Consiglio d’Amministrazione: il primo organo accademico, il secondo di alta amministrazione e programmazione. Il Senato avanzerà proposte di carattere scientifico, ma sarà il cda ad avere la responsabilità chiara delle assunzioni e delle spese, anche delle sedi distaccate. Il cda non sarà elettivo ma fortemente responsabilizzato e competente, con il 40% di membri esterni. Il presidente del cda potrà essere esterno.

Organizzazione interna Presenza qualificata degli studenti negli organi di governo. Introduzione di un direttore generale al posto del direttore amministrativo che "avrà compiti di grande responsabilità e dovrà rispondere delle sue scelte, come un vero e proprio manager dell’ateneo". Nucleo di valutazione d’ateneo a maggioranza esterna "per garantire una valutazione oggettiva e imparziale". Gli studenti valuteranno i professori e questa valutazione sarà determinante per l’attribuzione dei fondi alle università da parte del Ministero. Possibilità per gli atenei di fondersi tra loro o aggregarsi su base federativa per evitare duplicazioni e costi inutili. Riduzione dei settori scientifico-disciplinari, dagli attuali 370 alla metà, per evitare che si formino micro-settori che danneggiano la circolazione delle idee e danno troppo potere a cordate ristrette.

Ancora, riduzione molto forte delle facoltà che potranno essere al massimo 12 per ateneo.

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