Politica

I probiviri hanno il dovere di difendere il partito

La tenuta del governo nei prossimi mesi sembra passare attraverso un deputato eletto nel Pdl, ma da cui, stranamente, proviene la più ferma opposizione alla maggioranza: Fabio Granata. È stato infatti Granata a parlare di inconfessabili connivenze governative sulle stragi di mafia, lasciando perciò chiaramente intendere un gravissimo ed inammissibile coinvolgimento di vertici istituzionali nei barbari omicidi di Falcone e Borsellino.

È stato perciò logico che Maurizio Lupi abbia deferito Granata ai probiviri del partito: si tratta non solo di un atto fisiologico, ma perfino doveroso. Tuttavia, Granata per difendersi ha attaccato, invitando a deferire ai probiviri del partito anche Cosentino, Scajola e vari altri soggetti politici accusati di vari reati. Come dire, insomma: se portate me davanti ai probiviri soltanto per aver detto delle cose, per quanto inquietanti, a maggior titolo dovreste portare coloro che invece sono allo stato accusati di reati.

Ma qui casca l’asino, dal momento che Granata mette sullo stesso piano dimensioni che non possono in alcun modo essere equiparate: l’una, strettamente politica; l’altra, giudiziaria. È infatti evidente come sul piano giudiziario non possa essere per nulla bastevole un’accusa mossa da una procura per condurre davanti ai probiviri del partito la persona accusata. E ciò in quanto il collegio dei probiviri di un partito - come anche di qualsivoglia associazione privata - non potrebbe assumere alcuna decisione prima di conoscere le decisioni definitive della magistratura. I probiviri infatti non hanno alcun potere di investigare, di assumere prove, di sentire testi e via dicendo; non hanno, cioè, il potere istruttorio che li farebbe decidere in piena consapevolezza. Se i personaggi politici citati da Granata fossero convocati davanti ai probiviri, essi potrebbero benissimo negare ogni addebito, mentre i probiviri non potrebbero che prendere atto di tali difese, anche per non interferire con le indagini in corso.

Ciò naturalmente non significa che la politica debba restare indifferente alle accuse: si possono varare in proposito regolamenti interni che prevedano sospensioni cautelari da incarichi di partito; si possono effettuare pressioni per le eventuali dimissioni da incarichi di governo (come è accaduto nel caso di Scajola e Cosentino); si possono prevedere esclusioni da ruoli di particolare rilevanza: e tutto ciò ancor prima che la magistratura accerti una responsabilità in capo all’accusato , proprio in virtù di quel livello di etica pubblica che obbliga chi eserciti nell’agone politico ad essere ancor più trasparente e scrupoloso del cittadino qualsiasi.

La censura che invece è stata mossa a Granata, non essendo per nulla di carattere penale e di valenza giudiziaria, ma collocandosi tutta nell’ottica politica, si attaglia in modo adeguato alle competenze proprie dei probiviri: costoro non debbono esercitare se non una valutazione di tipo strettamente politico, rispondendo alla domanda (tutta intrisa di spessore politico) se possa rimanere nell’ambito del partito di maggioranza chi accusi la stessa maggioranza di essere connivente con potenze mafiose. Qui non c’è alcun accertamento da compiere, alcuna istruttoria da portare avanti, alcuna sentenza da attendere.

Ciò che Granata pensa e dice è davanti agli occhi ed alle orecchie di tutti, e viene da lui ripetutamente rivendicato: per questo è materia per i probiviri. A questo punto, sarebbe normale invitare costui a dimettersi, anziché attendere che siano gli altri a farlo: ed ugualmente l’invito potrebbe rivolgersi a Granata, proprio per evitargli il fastidio di far parte di una maggioranza corrotta e criminale.

Per questo, la difesa di Granata somiglia a quella di chi, senza avvedersene, sega il ramo su cui sta seduto.

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