Cultura e Spettacoli

"I puristi della classica sono come i talebani"

Intervista a Sting. Il cantante pubblica Symphonicities: "Ma sto anche scrivendo un musical per Broadway con il premio Pulitzer Brian Yorkey"

"I puristi della classica sono come i talebani"

nostro inviato a Chicago

E invece no. Sting ci ha azzeccato anche stavolta e si capisce appena si presenta, qui al Park Hyatt, con un sorriso proprio sincero, altro che rockstar annoiata. «Sono troppo impegnato a vivere la mia vita per fare altro» cincischia lui sedendosi al tavolo in quel silenzio che solo le salette dei grandi hotel sanno permettersi. Ha appena cantato al Ravinia Festival e in questi giorni esce il cd Symphonicities, che era ad alto rischio autoreferenziale e invece è un gioiellino che ce ne fossero. Per spiegarci, lo ha registrato nientemeno che con la Royal Philharmonic Concert Orchestra ammantando di panni sinfonici un bel po’ di canzoni sue e dei suoi Police, roba a prova di bomba (Roxanne o Englishman in New York o Every little thing she does is magic) ma anche setacciata tra le cartucciere del passato (I burn for you, End of the game). E chi se l’aspettava un risultato così, talmente corposo e vitale da essere più rock di tanto rock. Lui, che parla come un professorino e appena può va a spasso con la dolcissima Trudie, spiega pacioso che ha «sfidato» gli orchestrali ma aggiunge poco altro, come a dire: trovatela voi una pecca in tutto questo, se proprio ci riuscite.

In effetti, caro Sting, è un bello scossone al suo repertorio.
«E la voglia mi è venuta proprio qui a Chicago nel 2008 collaborando con la Symphony Orchestra. Da lì alla Royal Philharmonic il passo è stato breve».

Obiettivo?
«Farla suonare in modo rock».

E infatti in Next to you è scatenata.
«Il direttore Steven Mercurio da giovane era un chitarrista rock. E i suoi musicisti suonano Mozart o i Beatles indfferentemente. Una volta era impensabile».

Mai visto ambiente più conservatore della musica classica.
«I puristi della classica in realtà sono talebani. La musica è vitalità e flessibilità».

A proposito, a Milano sarà agli Arcimboldi il 2 novembre. Perché non alla Scala?
«Solo problemi di calendario. Ma sono testardo e, prima o poi, canterò anche lì».

Gli opposti si attraggono.
«Non sono un pezzo da museo e qualcosa vorrà pur dire se il mio nuovo cd, pubblicato dalla storica etichetta di classica Deutsche Grammophone, è primo nella classifica pop di iTunes».

Ad esempio che così si svecchia un mondo ingessato come quello della classica?
«Non è la mia crociata. Ma molti dei miei ascoltatori non avevano mai sentito un’orchestra sinfonica in vita loro».

Però lei è Sting, una delle cinque popstar più celebrate del mondo, e in Symphonicities canta brani strafamosi. Come dire: difficile resistere a un’esca così.
«Ma in scaletta ci sono anche canzoni non familiari al pubblico».

Come She’s too good for me (con un arrangiamento boogie che ricorda La Grange degli ZZTop).
«D’altronde convocare un’orchestra per suonare solo il mio greatest hits sarebbe stato noioso e basta».

Dal vivo la sfrutta anche per Tomorrow we’ll see, brano da Brand new day. C’è un trans che dice: «Non mi giudicare, in un’altra vita potresti diventare come me».
«Mi piace sfidare il pubblico, che è occidentale e conservatore. Però la spiego bene prima di cantarla».

Sting, lei ha 58 anni ed è così perfetto che sembra disegnato da Peynet.
«Da ragazzo ero centometrista e facevo salto triplo. Ora yoga, bici e palestra per due ore al giorno».

Addirittura.
«Per una metà è colpa della vanità. Per l’altra, del senso di disciplina. Anche l’aspetto fisico è parte del mio mestiere».

Però stavolta in copertina non ha messo una sua foto.
«Ho preferito un’opera che ricorda Mondrian. Mi piacciono i quadri: ho anche un Picasso, non tra i più famosi però. E non aggiungo altro per non ingolosire i ladri…».

Si dice che l’età tolga la voglia di scrivere canzoni.
«Ne parlavo con Zucchero. Da giovane componi una canzone al giorno perché non hai filtri autocritici né termini di paragone. Mia figlia Coco lo fa. Ma poi, quando cresci, vuoi diventare migliore e non sempre ce la fai».

Perciò si cercano alternative.
«Sto scrivendo la sceneggiatura per un musical di Broadway con il premio Pulitzer Brian Yorkey. Ma siamo solo all’inizio».

Scusi Sting, lei scrive sceneggiature, pubblica libri, fa tour, produce olio e vino nella sua tenuta toscana di Figline Valdarno…
«Un Chianti e un supertuscan, il Sister Moon».

Appunto. In più palestra, viaggi e nuovi brani.
«E dagli anni ’70 scrivo pure un diario».

Ti pareva. Che persona ne viene fuori?

«Talvolta la gente mi considera un grande. Altre, uno schifo. Ma il vero Sting è nel mezzo. Quando mi trattano da re, io sono indifeso. E quando mi criticano, spesso mi aiutano.

Ecco, questo sono io, dopotutto».

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