I rischi di un nuovo dirigismo

Bruno Costi

Non scherziamo: se vogliamo che gli italiani guardino ancora in faccia i politici ed abbiano un minimo di credito nelle istituzioni, evitiamo almeno che lo Stato ridiventi, anche sotto mentite spoglie, padrone dei telefoni dopo averli venduti solo pochi anni fa.
Non sembri un ozioso scongiuro quello sulla ripubblicizzazione della Telecom, perché il progetto di spendere 5 miliardi di euro per statalizzare la rete telefonica, mentre si chiedono sacrifici a statali e pensionati, è stato messo nero su bianco addirittura dal consigliere economico del premier e recapitato al patron di Telecom, prima che si dimettesse, perché lo attuasse, pardon, ne valutasse la possibilità di attuarlo.
Sicché verrebbe da chiedersi a che titolo, perché a Palazzo Chigi ci si occupa di questo, perché mai si manifesta irritazione per uno smacco informativo, quasi che un imprenditore privato non sia libero, con i suoi soldi e nel rispetto delle leggi, di fare quel che gli pare. Certo, la storia di Telecom e dei suoi molti padroni recenti non è edificante. Non è davvero un buon capitalista quello che compra una società con i soldi della stessa società, ovvero caricandola di debiti e non capisce il mercato sbagliando strategie; né è migliore quello che ne fa crescere i debiti raddoppiandoli in meno di cinque anni, in un andirivieni di strategie industriali e finanziarie da montagne russe, tentando oggi ciò che si contraddirà domani. Capiamo dunque che nelle stanze del potere della sinistra al Governo, ma non solo, si sbuffi per la qualità dei grandi imprenditori che passa il convento e ci si lasci prendere dalla suggestione che si stava meglio quando si stava peggio, ovvero quando c’erano le partecipazioni statali. Ma cerchiamo di capire ciò che sta accadendo prima di emettere sentenze.
Tronchetti Provera ha pensato una riorganizzazione che prevede il ritorno all’autonomia societaria della telefonia mobile, la trasformazione in società autonoma della rete telefonica e la contemporanea scelta di un futuro da media company, grazie ad un accordo con il Tycoon australiano Murdoch padrone di Sky Italia. Un progetto che in parte annulla ciò che era stato deciso nemmeno due anni fa, quando Tim che era una Spa fu incorporata in Telecom, quasi una conversione ad U in autostrada. Perché? Nella versione fatta trapelare da Telecom, il dietro-front è colpa dell’Authority delle Comunicazioni, molto severa nel valutare la strategia commerciale che Telecom aveva ipotizzato come frutto della fusione fisso-mobile e del possesso della rete. In sostanza, l’Authority avrebbe bloccato le offerte commerciali del telefonino unico e della superbanda larga in quanto lesive della concorrenza e ciò alla fine avrebbe indotto Tronchetti, anziché insistere nella lotta contro i mulini a vento del Potere, a gettare la spugna di quel progetto e studiarne un altro più favorevole al conto economico del Gruppo.
Giusto o sbagliato? Quando il costo delle decisioni lo si paga di tasca propria, ogni scelta lecita che fa bene al conto economico, che serve a rafforzare l’azienda, è giusta non sbagliata. Sbagliato è l’intervento della politica che ignora questa elementare regola e non spiega in modo convincente perché. Può darsi che ci sia stata incompetenza in Telecom nel non averci pensato prima, ma se davvero nell’Authority c’è difesa più dei concorrenti che della concorrenza, e se davvero è stato prospettato un diverso più morbido atteggiamento dell’Autorità vigilante qualora Tronchetti avesse seguito il progetto recapitatogli dal consigliere di Palazzo Chigi, allora bisogna chiedersi se la colpa dei pochi buoni capitalisti presenti in Italia e del declino dell’impresa, non sia anche o proprio in quest’ambiente ostile all’impresa, che ad onta dei documenti sulla programmazione sulla competitività e le buone intenzioni di Bersani, non solo non si vuole eliminare ma è nel Dna di questa cultura di Governo.
Dobbiamo deciderci: vogliamo che la concorrenza e le liberalizzazioni sprigionino la loro potenzialità? Che si rafforzino i grandi gruppi, che nascano nuove imprese, che le tariffe calino, il consumatore ci guadagni? Se sì, dobbiamo accettare la logica del mercato, anche se prevede la vendita di Tim a chi dall’estero o dall’Italia si presenta con il denaro cash, e non passi dalla autorizzazione preventiva del capo del Governo. Preferiamo invece la guida del Governo, la protezione della politica, la concertazione-codecisione con il sindacato? Allora dobbiamo rinunciare al mercato, continuare ad accumulare debiti e non lamentarci se così nascono solo generazioni di capitalisti da pollaio. Lo scontro su Telecom è, in fondo, tra queste due visioni. E il passo indietro di Tronchetti Provera a favore di Guido Rossi segna il successo della seconda sulla prima.

Con buona pace di chi pensa che in Italia si possa fare impresa liberamente.

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