Controstorie

I sei amici impossibili dalle Falkland al teatro

Tre argentini e tre inglesi inscenano la guerra dell'82. Quando combattevano su fronti opposti

I sei amici impossibili dalle Falkland al teatro

A volte la storia compie strani giri per riconciliarsi con se stessa. Lo sanno bene Rubén, David, Marcelo e Lou, David e Sukrim, un tempo nemici nella vita, adesso attori in scena a Buenos Aires nello spettacolo Campo minato, un modo elegante per sanare l'antica querelle sulle Falkland/Malvinas tanto attizzata dalla Kirchner quanto mitigata da Macri. Il palcoscenico si fa così catartico per le esistenze di questi ultrasessantenni che 36 anni fa, i primi tre per l'Argentina, gli ultimi tre per la Gran Bretagna hanno preso parte alla famosa guerra delle Malvinas o Falkland, un conflitto rapido - dall'aprile al giugno del 1982 - ma drammatico, sfondo e al tempo stesso protagonista di tutta l'opera.

L'Argentina all'epoca stava attraversando una durissima crisi economica. Cosa di meglio per il governo del generale Leopoldo Galtieri di giocare la carta del sentimento nazionalistico reclamando con forza territori su cui il paese rivendicava la sovranità? Ma gli argentini non avevano fatto i conti con i britannici che dal canto loro in piena era Thatcher da qualche parte albergavano ancora ambizioni da post impero, dopo la grave delusione nel 1956 della Crisi di Suez che li aveva visti in ritirata dal Canale. Il risultato fu prima un'invasione argentina con l'Operazione Rosario e poi poche settimane dopo la riconquista degli inglesi sostenuti nelle attività di spionaggio dagli Stati Uniti di Ronald Reagan. Nei 74 giorni di conflitto morirono 907 persone, 649 argentini e 258 britannici.

Un passato da cui è stato davvero difficile sbarazzarsi. Lo sa bene uno dei soldati, oggi attori, l'argentino Marcelo Vallejo. Tanti lavoretti di fortuna dopo la guerra ma un dolore oscuro nell'anima. Risultato: anni di alcol e cocaina. Le tavole del palcoscenico oggi, rivela, gli stanno finalmente regalando la pace perduta permettendogli di confessare i segreti più nascosti. All'inglese David Jackson, oggi guardacaso psicologo per i veterani di guerra, è Marcelo stesso a rivelare in scena «vi odiavamo ed eravamo convinti che avremmo vinto». È la guerra, dunque, nelle sue forme più disumane e scarne, quella che viene raccontata in questa innovativa opera drammaturgica con i suoi protagonisti, i soldati di un tempo, oggi veterani, e il peso che portano sulle loro vita e la loro memoria, che non riesce a liberarsi di bombardamenti e morti violente. Nessuno è eroe e in fondo tutti lo sono, come raccontano altri due personaggi, Lou Armor oggi professore per bambini con problemi di apprendimento in Gran Bretagna e l'argentino Gabriel Sagastume che in scena si definisce un soldato mediocre e che nella vita si è riscattato facendo l'avvocato penalista mentre il suo commilitone Rubén Otero una volta finita la guerra ha osato varcare quel limite invisibile che divide i popoli all'indomani di un conflitto e non ci ha pensato un minuto ad accettare di far parte di un gruppo musicale che è un dichiarato tributo ai Beatles. Ha visto invece la morte davanti ma non ha ucciso nessuno - come rivela in scena - l'inglese Sukrim Rai che oggi fa il vigilante a Londra.

Ma l'opera, che nasce da un'idea della drammaturga e regista Lola Arias per l'università nazionale San Martín con la collaborazione del britannico Royal Court Theatre - che è stata presentata per la prima volta in Argentina, al teatro San Martín di Baires, lo scorso fine settimana - non è che l'epilogo di un importante processo di rielaborazione del passato che grazie al teatro ha fatto reincontrare questi sopravvissuti e avvicinare le loro esistenze. Dopo anni di silenzio oggi persino le loro famiglie si conoscono con un gruppo WhatsApp ad hoc per comunicare fra loro. «Non è stato facile - spiega Marcelo - all'inizio avevo addirittura rifiutato la proposta perché provavo ancora molto rancore nei confronti degli inglesi ma poi ho accettato perché pensavo potesse essere un'opportunità per raccontare il sacrificio dei soldati argentini. Alla fine, invece, l'opera è servita a me. Il teatro cura». E il suo ex nemico David gli fa eco: «In Gran Bretagna non c'è il ricordo delle Falkland e di cosa abbiano significato. Qui invece sono ovunque». Si arriva così al punto cruciale dell'opera. Il rapporto con un territorio che è stato così conteso e che ancora oggi gli argentini rivendicano. Rubén lo dice chiaro. «Durante le prove - racconta - abbiamo discusso tra di noi il problema della sovranità di queste isole. Noi continuiamo a dire che sono argentine e loro rispondono che i loro abitanti sono inglesi. Ma ciò non significa che non si possa continuare a convivere in pace».

Lo spettacolo sta riscuotendo molto successo in Argentina dopo essere stato in tournée anche in molti paesi europei ed è un esempio interessantissimo di come i protagonisti della storia possano riuscire a non rimanere schiacciati da essa semplicemente raccontandola e raccontandosi. Anche perché bisogna pensare che nel pubblico ci sono molti familiari di vittime della guerra che non possono esprimere le loro emozioni in scena ma che possono al massimo proiettarle in coloro che recitano. Alla fine, tutti tornano a casa più ricchi.

I sei attori lo spiegano chiaramente: «Quello che noi e il pubblico impariamo è a essere tolleranti con chi la pensa in modo diverso da noi, che possiamo difendere le nostre idee ma camminando insieme verso il futuro».

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