I silenzi interessati dei magistrati

Alberto Indelicato

Contro le conseguenze della legge che ha impedito la candidatura del procuratore Gian Carlo Caselli alla direzione della superprocura antimafia si sentono tuonare le Grosse Bertha di politici e magistrati, che attribuiscono a quella norma la decisione di dimettersi dalla carriera giudiziaria di Piero Luigi Vigna, magistrato universalmente rispettato per la maniera impeccabile con cui ha sempre svolto le sue funzioni e perché non ha mai tracimato nel campo della politica o della storia con la «s» maiuscola. Egli, infatti, si è sempre astenuto da alluvionali interventi giornalistici e dalla partecipazione a seminari e conferenze con allocuzioni di lunghezza degna dei discorsi di Fidel Castro. Di ciò tutti gli italiani gli sono indubbiamente grati. Insomma un magistrato esemplare. Sarebbe forse troppo malizioso o ingenuo chiedersi se la sua difesa sarebbe stata altrettanto commossa ed appassionata se il suo caso non fosse stato connesso al caso Castelli.
I politici fanno il loro mestiere, ed il mestiere dei politici di opposizione è per l’appunto di fare opposizione a qualsiasi legge approvata dalla maggioranza, ma per i magistrati le cose vanno o dovrebbero andare diversamente. Se anch’essi si sono detti profondamente turbati per la decisione di Vigna, per la loro condizione dovrebbero dar prova di quella coerenza a cui i politici non sono sempre tenuti.
Si prenda ad esempio la dichiarazione del segretario della associazione nazionale dei magistrati, Antonio Patrono, pronunciata si presume a nome e per conto di tutti gli iscritti a quel sindacato. Anch’egli infatti ha voluto elevare la sua autorevole voce contro il fatto che «un uomo di assoluta integrità debba interrompere la sua carriera in base alle nuove norme sull’ordinamento giudiziario...». A prescindere dal fatto che egli sa perfettamente che le nuove norme non incidono minimamente sulla durata della carriera, ma riguardano solo le funzioni, escludendo da alcune di esse dei dipendenti non in grado di esercitarle per lungo tempo, altri funzionari dello Stato potrebbero osservare che soltanto i magistrati hanno il privilegio di restare in servizio ben più a lungo dei 65 o 67 anni di età normalmente previsti dai loro ordinamenti. Pur ammettendo volentieri che l’esercizio delle funzioni giudiziarie, inquirenti o giudicanti, abbia l’effetto di mantenere intellettualmente più alacri e vivaci, il punto principale resta un altro e riguarda quella coerenza cui si accennava. Non risulta che altri magistrati costretti a dimettersi abbiano in passato suscitato accorate proteste da segretari o presidenti o semplici membri dell’associazione dei magistrati. Quando il presidente della prima sezione penale della Cassazione Corrado Carnevale dopo dieci anni di indagini, accuse e processi fu pienamente assolto da tutte le imputazioni, dimostratesi totalmente infondate, non ci pare di ricordare che la benemerita associazione abbia chiesto a gran voce - e neppure sottovoce - il reintegro nella carriera e nelle funzioni d’un «uomo di assoluta integrità». Meglio (o peggio) ancora: quando il Parlamento provvide con apposita norma di legge a permettergli quel reintegro, l’associazione suddetta non espresse la sua soddisfazione ed anzi il Consiglio Superiore della Magistratura si oppose sollevando una questione di legittimità costituzionale, tuttora non risolta.
Si dice ora che il governo intenderebbe dare un incarico prestigioso a Vigna.

Siamo certi che questa volta l’associazione dei magistrati non si opporrà e che il Csm non solleverà questioni di costituzionalità.

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