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I sindacati aprono sul Jobs Act ma le tutele acquisite sono tabù

Angeletti (Uil) pronto al dialogo: trattiamo, ma solo per i nuovi assunti. Il premier ascolti tutti e poi decida. Venerdì un summit con Camusso e Bonanni per una strategia comune

Roma - Per i sindacati la «forma» è «sostanza». Per Matteo Renzi, no. Da qui, l'idiosincrasia del premier verso le riunioni con le parti sociali: coinvolte solo marginalmente per la riforma del mercato del lavoro.

Il presidente del Consiglio dice di puntare alla «sostanza»: sebbene anche questa tardi ad arrivare. Ed in questo clima di tensione (di guerra guerreggiata verbale), la Uil prova a sondare il campo con qualche apertura sul superamento dell'articolo 18. In attesa di concordare una strategia comune fra i principali sindacati. Un incontro sul tema fra i vertici di Cgil, Cisl e Uil è previsto per venerdì prossimo.

Luigi Angeletti condivide il Jobs Act del governo. «È un'ottima idea», dice. «Ma così come è - precisa il leader della Uil - non avrà la forze di cambiare il mercato del lavoro e sono necessari degli interventi per renderlo veramente competitivo». A suo parere, uno di questi «interventi» dovrebbe riguardare la componente fiscale a carico delle imprese. In tal modo, il sindacato cerca di recuperare anche le organizzazioni imprenditoriali dalla loro parte; così da fare fronte unico contro il provvedimento del governo. Tentativo destinato al fallimento, visto che sia la Confindustria sia le altre organizzazioni imprenditoriali condividono l'impostazione del governo.

Secondo Angeletti, si dovrebbe «introdurre un vantaggio per chi assume a tempo indeterminato, per esempio facendo costare di meno per le imprese i contratti a tempo indeterminato con qualche incentivo». E offre un'apertura al governo. «Per i nuovi contratti - dice - si potrebbe agire sugli indennizzi introducendo un articolo 18 ulteriormente modificato nel senso di un risarcimento nel caso di licenziamenti per ragioni economiche, nella misura di 15 o 16 mensilità e a crescere».

Il leader della Uil, poi, è pronto a discutere del tema dell'articolo 18, ma il «paletto insormontabile - spiega - è uno: non si toccano le tutele acquisite. Perché un conto è avvicinare due mondi, ma quello che non si può fare è modificare l'art.18 per chi già ce lo ha». La legge delega parla esclusivamente dei neo assunti. Quindi, la revisione delle regole dell'articolo 18 per chi è attualmente al lavoro in aziende oltre i 15 dipendenti non è citata dalla legge all'esame del Parlamento.

Ciò che più preoccupa i sindacati, e la Uil in questo caso, è appunto la «forma», la «legittimazione» della rappresentanza. Per questo Angeletti rilancia. Il governo «abbia il coraggio politico di spiegarci - sottolinea - che cosa vuole fare, ascolti le parti sociali, i sindacati, Confindustria. Poi prenda le sue decisioni, libero di ascoltarci o meno, ma è così che si fa nei paesi normali».

«Il problema - ribadisce Angeletti - è anzitutto di impostazione generale: è chiaro che se la delega è in bianco o generica non si può fare, mi meraviglio che il premier non lo capisca o faccia finta di non capirlo».

E tra le «deleghe in bianco», la Uil mette anche la misura contenuta nell'emendamento al Jobs Act sul demansionamento.

«È chiaro che su questo non ci possono essere deleghe in bianco: ci facciano capire qualcosa di più e parliamo».

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