Roma

I suoi vicini difendono Guido: «Dopo trent’anni lasciatelo in pace»

Potrebbe tornare di nuovo al regime della semilibertà vigilata Gianni Guido, uno dei tre reponsabili del massacro del Circeo, scarcerato per fine pena il 25 agosto scorso. All’esame del giudice del Tribunale di sorveglianza di Roma, Enrico della Ratta Rinaldi, c’è infatti una richiesta in tal senso avanzata dalla Procura della Capitale dopo che, nell’aprile 2008, allo stesso Guido era stato concesso l’affidamento ai servizi sociali con obbligo di dimora nella casa dei genitori. L’udienza per l’esame del ricorso è stata fissata a settembre prossimo.
La Procura in sostanza giustifica il ricorso sia in ragione di quanto stabilito nella sentenza definitiva che ha riguardato Guido e gli altri, che per ragioni di sicurezza, così come avviene in altri casi simili. Ed in occasione di questo «riesame della pericolosità sociale» verrà di nuovo vagliata la condotta dell’ormai 53enne ex appartenente alla Roma bene. Nell’udienza il giudice farà quindi una valutazione in tal senso, ovvero se respingere la richiesta o applicarla. In quest’ultimo caso a Guido potrebbe essere fatto obbligo di firma presso una stazione di polizia o di rientrare nel domicilio ad un orario prestabilito. L’uomo, comunque, al momento è libero a tutti gli effetti pur se non ha passaporto.
Sono passati 34 anni da quei tragici fatti e Guido sembra davvero un uomo cambiato. Almeno così dicono i vicini di casa, quell’elegante palazzina di via Capodistria 4 a Roma, dove l’ex massacratore del Circeo vive con i genitori. Una donna che abita di fronte al palazzo lo difende. «Lasciatelo in pace, sono passati 30 anni...», dice infastidita dai giornalisti. «Poveraccio - afferma un’altra signora della zona - avrà pur diritto alla sua vita dopo tanti anni». Anche il marito della portinaia dello stabile è sicuro: «Prima che i genitori partissero per le ferie lo vedevo sempre da solo tornare a casa la sera ed è sempre stato molto educato con tutti».
Tracce di questo cambiamento erano apparse anche al giudice istruttore milanese Guido Salvini, nel corso di un interrogatorio il 4 giugno 1994. «La mia vita prima del 30 settembre 1975 è stata un’esistenza di puro egoismo e divertimento», diceva Gianni Guido.

Che proseguiva così: «È stato questo modo di vivere a portarmi a commettere l’episodio per cui sono stato condannato nonché una serie di episodi minori che si situano più o meno in quel medesimo contesto umano».

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