Cultura e Spettacoli

"I tagli alla cultura? Inevitabili Lo Stato non può pagare tutto"

L’artista: "È doloroso ma prima bisogna pensare a salute, istruzione e sicurezza". Stasera il debutto a Pisa con un pianista: "Porto il recital anche al Metropolitan"

"I tagli alla cultura? Inevitabili 
Lo Stato non può pagare tutto"

Dite quel che volete, ma Andrea Bocelli non sbaglia un colpo: stasera si presenta lui da solo di fianco a un pianista - Teatro Verdi di Pisa, a due passi dall’Arno - e riscopre il recital, cantando venti brani in quattro lingue diverse, tutti presi dalla strepitosa tradizione classica, ossia da Handel a Wagner a Beethoven. «È una cosiddetta data “zero”, ma poi farò altre serate in Germania». Intanto è una novità (più in Italia che nel resto del mondo, precisa lui), ha un grande obiettivo (raccolta fondi per le associazioni Viva Federico e Arpa) e un corredo di video, già visibili sulla pagina Facebook, tutti diretti dal bravo Alberto Bartalini. E poi non finirà qui, vedrete, perché in fondo un Bocelli del genere, maestoso nella voce e a tu per tu con il pubblico, è pressoché imperdibile e pioveranno offerte, roba da scommetterci a scatola chiusa.
Difatti, caro Bocelli, il teatro stasera è già tutto esaurito.
«Comunque ne farò pochi perché sono concerti molto faticosi. E sono giorni e giorni che mi sto preparando dal mattino alla sera».
Ma allora perché lo fa?
«Perché mi piace. Perché con questo spettacolo a Pisa raccoglieremo almeno cinquantamila euro da devolevere alle due associazioni, E perché è bello far conoscere al pubblico autentiche perle d’arte che, per di più, parlano d’amore con i toni altissimi e nobili di maestri come Strauss o Fauré».
Dovesse cantarne una per la sua compagna Veronica Berti?
«Siamo una coppia felice perciò sceglierei La Reine du Matin di Charles Gounod. La canterò anche stasera».
Per lei dovrebbe essere una passeggiata: a inizio mese si è esibito addirittura per Obama a Washington (detto per inciso, è il terzo presidente degli Stati Uniti per il quale ha cantato).
«Non ci crederà ma quella è stata un’occasione più semplice, ho soltanto interpretato un brano, White Christmas. Al Metropolitan di New York a febbraio, invece, farò più o meno lo stesso spettacolo di stasera a Pisa».
I biglietti sono andati esauriti in due ore.
«E sono già emozionatissimo».
Beniamino Gigli è stato un eroe del Metropolitan.
«Era generosissimo: pensi che talvolta si fermava fuori dal teatro per cantare anche per chi non era riuscito ad entrare».
Da Caruso a Pavarotti, la grande tradizione dei tenori italiani. Eppure lei, Bocelli, è spesso criticato proprio perché mescola lirica e pop.
«Forse tanti si dimenticano che proprio Gigli cantava addirittura Papaveri e papere di Nilla Pizzi. In realtà, io non faccio nulla di diverso rispetto ai grandi esempi che abbiamo. Oltretutto credo che, più che il genere, sia solo la qualità a dover essere giudicata».
A proposito, lirica e pop saranno mescolati anche nella serata del Festival di Sanremo dedicata ai 150 anni dell’Unità d’Italia. In programma ci sono da Va pensiero a Il cielo in una stanza.
«Così, a bruciapelo, le mie canzoni ideali per i 150 anni sono Va pensiero e l’inno di Mameli».
Allargando il discorso, per molti la qualità dell’arte in Italia è messa a rischio dai tagli decisi dal governo per il Fus, Fondo unico dello spettacolo.
«Come artista capisco perfettamente il disagio, anzi il dolore per la perdita di sovvenzioni talvolta preziose. Ma bisogna fare i conti con la realtà».
Ossia?
«La cultura, per quanto fondamentale, viene dopo la salute, l’istruzione, la sicurezza. E’ facile gridare allo scandalo, ma uno Stato dà in proprozione a quello che ha. È come un buon padre di famiglia e talvolta, quando la situazione è critica come in questa fase, insegna anche a tirare la cinghia. Ed è anche vero che...».
Che?
«.. che il mondo della Cultura è in gran parte gestito da tante persone che hanno lo stipendio sempre fisso magari da trent’anni, a prescindere dalle variabili di mercato. Ma deve imparare a promuovere meglio se stesso, a fare quello che volgarmente si chiama marketing, a rimboccarsi le maniche perché il pubblico vada, per esempio, a teatro. I risultati alla fine verranno.

Ma è anche vero che non si può sempre aspettare che lo Stato paghi tutto per tutti».

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