Cultura e Spettacoli

Idomeneo, tragedia di eroi a lieto fine

Alberto Cantù

Molti ricorderanno una vicenda biblica, contenuta nell’Antico Testamento, che è quella di Jephte, il quale, prima di andare in guerra fa un voto: se tornerà sano, salvo e vincitore sacrificherà a Dio la prima persona che gli si parerà innanzi. Tornato vincitore, ecco avvicinarsi a lui la figlia, che pertanto dovrà morire.
La materia, altamente drammatica, ha dato vita, nei secoli, a parecchi Oratori: tra i più famosi, gli Jephte di Carissimi e di Händel.
Il mozartiano Idomeneo è una sorta di versione omerica del sacrificio di Jephte. Il Re di Creta, durante una «fiera tempesta» di mare, giura che, una volta salvi i suoi e lui dal naufragio e toccata la terraferma, immolerà a Nettuno la persona che per prima incontrerà. Si tratta - i due si riconoscono tardivamente; Idomeneo s’è assentato dalla patria per molti anni - del figlio Idamante che la partitura prevede per un soprano ed è dunque un ruolo en travesti (Idomeneo «dramma» fatto da soprani e tenori: tre ognuno).
L’opera del Settecento, si sa, ha il lieto fine praticamente obbligatorio così come di prammatica sarà, nell’Ottocento romantico, da Bellini a Verdi e Wagner, la follia e la morte dell’eroina.
Allora, il librettista nonché abate Gianbattista Varesco - drammaturgo finalmente consapevole, Mozart gli chiederà moltissimo - opta per il lieto fine derogando dalla tragedia francese Idoménée di Antoine Danchet (1712) su cui ricalca il testo che segue peraltro il gran modello del celebrato Metastasio. E pertanto il Nume perdonerà, padre e figlio s’abbracceranno felici, Idamante potrà sposare Ilia ed Elettra, che ama Idamante non contraccambiata, dovrà rassegnarsi sia pure dopo essersi sfogata con una belcantistica «Aria di furia».
Finale con coro e balletto (cinque numeri da una ciaccona ad una gavotta): le danze che alla Scala, da Sant’Ambrogio in poi, col direttore Daniel Harding and Co. (pare) non ci saranno.
Perché? Perché Mozart le aggiunse in un secondo tempo. Ed ecco la storia intricata assai di due Idomenei, il primo del 1781 (Monaco, Residenztheater, 29 gennaio); il secondo, «riveduto e corretto» nell’86 per una rappresentazione avvenuta il 13 marzo nel palazzo del principe Auersberg a Vienna.
Più la questione di pagine che Mozart musicò ma durante le prove - del 1781 - per maggiore scioltezza dell’azione o per necessità contingenti, eliminò. Tanto che, a teatro come su disco, ogni Idomeneo accogliendo o rifiutando parti omesse o rifatte in un variabilissimo cocktail, è diverso dall’altro. Si potrebbe dire, pirandellianamente che gli Idomeneo sono uno, nessuno e centomila.
Nella prefazione al libretto, come d’uso al tempo, l’autore, dopo avere esposto l’«argomento», dà le coordinate espressive dell’opera. Eccole nel linguaggio un po’ tortuoso del 1780.
«I diversi affetti (sentimenti, ndr) eccitati nel padre e nel figlio dal loro scoprimento, l’amor paterno d’Idomeneo, il suo dovere verso Nettuno, l’infelice situazione d’Idamante, che ignora il suo destino, il reciproco amore dei due amanti amareggiato all’eccesso poiché Idomeneo fu costretto a svelare l’arcano, ed a sciogliere il crudel voto, la gelosia e la disperazione d’Elettra, il tutto - così Varesco - forma l’azione del presente drammatico componimento». Con una postilla. «Si legga la tragedia francese, che il poeta italiano in qualche parte imitò, riducendo il tragico a lieto fine».

Dunque con la nuova linfa del capolavoro ed unicum di Mozart che Beethoven amò al di sopra di ogni altro titolo del salisburghese, ecco il conflitto usuale dell’opera seria belcantistica settecentesca: amore e dovere, con il secondo (la ragione) che deve prevalere sul primo (l’emotività) che con Mozart, appunto, diventa tutta un’altra faccenda.

Commenti